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Ecco perché ora
Ebola fa paura


di Piero Orteca

Il mondo contemporaneo ormai vive di angosce globali. Come se non bastasse il terrorismo internazionale a toglierci il sonno, ciclicamente si ripresentano le minacce di una “pandemia” planetaria. L’ultima era stata, un paio d’anni fa, l’aviaria, che aveva generato allarmi oltre ogni livello di guardia e la corsa ad accaparrarsi gli antivirali capaci di poterla frenare. Oggi siamo davanti a un’altra potenziale catastrofe sanitaria, che, certo, va affrontata con la testa, senza cedere al panico di massa, ma che è obbligatorio non sottovalutare: Ebola. È un virus di origine africana micidiale (ne sono stati isolati cinque-sei ceppi, di cui quattro patogeni per l’uomo) che causa febbri emorragiche mortali. È stato scoperto in Congo (come l’Aids) nel 1976 e si diffonde grazie al contatto col sangue e i fluidi corporei dei soggetti infetti (tranne il ceppo “Reston”, che si può contrarre anche per via aerea). I sintomi sono, oltre a una violenta febbre, vomito, diarrea, dolori lancinanti ed emorragie. E per dare un’idea delle tensioni generate dall’epidemia, basti dire che sette volontari che assistevano la popolazione sono stati uccisi dagli abitanti di un villaggio, a Wome, in Guinea, a colpi di machete e con armi da fuoco. Il tasso di mortalità di Ebola arriva al 90% dei soggetti colpiti, ma forse proprio quest’aspetto è paradossalmente il suo lato “debole”. Insomma, ci sono autorevoli pareri nerità politica mondiale annunci serie misure preventive, ma, nel contempo, ci mette in campana il fatto che senta il dovere di suonare la sirena d’allarme. In sostanza, Obama ha lapidariamente detto che Ebola è «fuori controllo» e che il mondo «ha la responsabilità di agire». Se con tutte le rogne che ha per la capa l’inquilino dello Studio Ovale trova il tempo di occuparsi di Ebola e, anzi, di fare un “briefing” televisivo, a occhio c’è da essere preoccupati. Cum grano salis, senza farsi prendere dalle paturnie del Giorno del giudizio. Anche se il presidente ha aggiunto, facendo venire agli ascoltatori i sudori freddi alla schiena: «L’epidemia peggiorerà prima di migliorare. Creeremo un ponte aereo per far arrivare al più presto gli operatori sanitari e le forniture mediche in Africa Occidentale e stabiliremo un centro di comando militare in Liberia, per sostenere gli sforzi civili in tutta la regione». Insomma, Ebola peggio di al Qaida. E le domande seguenti sorgono spontanee e vagamente inquietanti: ma che informazioni ha Obama per dichiarare ai quattro venti che la casa brucia? Ci sono paure (inconfessate) relative alle migrazioni di massa? O si prendono sul serio le minacce dei terroristi islamici irakeni, che invitano i loro “lupi solitari” ad agire da “untori” negli Usa? Comunque sia, gli americani non stanno sottovalutando per niente l’ennesima grana. In Africa Occidentale saranno spediti 3 mila soldati. Molti di più di quelli che si progetta di far tornare in Irak per combattere lo Stato Islamico di al-Baghdadi. La strategia comprende anche l'invio di medici, infermieri, ingegneri e operai per un costo totale dell'operazione, denominata “Operation United Assistance”, dell’ordine di almeno 750 milioni di dollari. L'Onu (accusata dal Parlamento Europeo di dormire), dal canto suo stima che entro l’anno i casi di Ebola saranno 20 mila. Ma, come abbiamo detto prima, si tratta di numeri dati a casaccio, che lasciano il tempo che trovano, perché la situazione potrebbe mutare rapidamente, anche domani. Nel nostro Paese non ci sarebbero rischi di contrarre la micidiale malattia: questo secondo Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, centro di riferimento per l’Ebola nel nostro Paese. Il virus, affermano però all’Onu, «è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale ». Sempre le Nazioni Unite hanno presentato un piano da un miliardo di dollari. Nel frattempo, l’Organizzazione mondiale per la Sanità ha detto che il numero di casi di epidemia in Africa Occidentale potrebbero aumentare raddoppiando ogni tre settimane e che i costi del contenimento dell’epidemia sono saliti a quasi un miliardo di dollari. Finora, oltre 5 mila persone si sono ammalate in Liberia (il Paese più colpito), Sierra Leone, Guinea, Nigeria e Senegal e la metà di esse è morta. Gli effetti devastanti dell’epidemia si stanno diffondendo anche alle economie dei Paesi colpiti che, per la Banca Mondiale, rischiano una recessione senza precedenti. Visti i chiari di luna, la scienza accelera. Negli Stati Uniti un vaccino sperimentale, sviluppato con i National Institutes of Health, sembra promettere buoni risultati. Lo ha annunciato Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (Niaid) alla commissione Bilancio del Senato Usa. Chiaramente, si tratta di una risposta che dovrà essere accompagnata da una strategia di più ampio respiro. In cinque punti, possiamo elencare: 1) Più centri di primo intervento; 2) Terapie da somministrare a domicilio; 3) Creazione di corridoi sanitari per fare arrivare gli aiuti; 4) Tenere alta la guardia anche fuori dall’Africa; 5) Incrementare la ricerca sui vaccini e predisporre una produzione di scala per rispondere a una domanda che potrebbe diventare massiccia. Un’ultima riflessione va necessariamente fatta. “Hemorrhagic fever viruses as biological weapons: medical and public health management” (in JAMA, vol.287, nº18, 2002, pp.2391–405, di L. Borio, T. Inglesby e CJ. Peters) è un articolo scientifico sul possibile utilizzo di Ebola come arma biologica e sui modi per contrastarne la diffusione. Per carità, non vogliamo assolutamente fare scandalismo un tanto al chilo. Ma resta il fatto che (almeno, spifferi di corridoio così insinuano) a volte epidemie mortali sono state collegate a “incidenti di percorso” generati dall’idiozia umana.  

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