Come spesso succede, davanti a emergenze improvvise si reagisce d’impeto, usando più i piedi che la testa. Nel caso di Ebola, passi che a farlo sia la gente comune, il vicino della porta accanto giustamente preoccupato per sé e per i propri familiari. Ma a sentire la litania di dichiarazioni “sparate” negli ultimi giorni dai potenti della Terra, beh, sinceramente c’è da rimanere alquanto perplessi. Perché mettere le mani avanti (giusto) non significa esagerare. A meno che…a meno che non ci siano tanti e tali segreti e inconfessabili motivazioni da rendere l’allarme fondato. Barack Obama non si fida più manco dei suoi “adviser” e il presidente della Commissione Ue, Juan Manuel Barroso, dopo il vertice Asem di Milano, ha addirittura parlato di «possibile catastrofe umanitaria». Tutto questo mentre alcuni Paesi sono, paradossalmente, già “virus free” (il Senegal e, quasi, la Nigeria), cioè ormai “liberi” dall’epidemia. L’impressione, comunque, è che col virus del momento più di qualcosa non quadri. Lentamente si va diffondendo una vaga puzza di bruciato, per ora avvertita solo dai nasi più fini. Cosa c’è dietro? Le ipotesi sono diverse: voglia di “business” pompato dalla potente lobby del farmaco, come fu per l’aviaria (e zitti e mosca, perché andò proprio così); effettiva sottovalutazione (in buona fede), da parte della comunità scientifica internazionale, dei rischi legati ai virus “di ultima generazione”; clamorosa sottovalutazione (in mala fede) della pericolosità dell’agente patogeno accusato di contagiare anche i cosiddetti “popoli civilizzati” (tanto finora morivano solo alcune centinaia di disgraziati in Africa Centrale e tutto finiva lì); “carbone bagnato” (cioè, sensazione di colpevolezza) da parte di qualcuno che si è messo a giocare col “Piccolo biochimico”, facendo saltare in aria il laboratorio; reale pericolo di pandemia planetaria che, per ora, viene confusamente occultato. Come vedete non ci facciamo mancare proprio niente, con l’avvertenza che, di fronte alla prova dei fatti, forse alcune di queste ipotesi potrebbero rivelarsi via via più consistenti. Comunque, calma e gesso, perché, con un perverso “effetto domino” della comunicazione, le palle di neve ci stanno poco a diventare valanghe. Un esempio? Quando il prof. Bob Gallo, martedì scorso, all’Università di Messina, ricevendo il Premio Speciale Uberto Bonino, ha parlato di trasmissione del virus «per via aerea», qualcuno ha pensato che si riferisse a un contagio scatenato dalla semplice respirazione. Sbagliato. Lo scienziato italo-americano ci ha personalmente chiarito di avere ricordato come oggi «gli spostamenti in aereo rendano più facile il contatto con individui che sono stati in incubazione». E siccome il periodo di “latenza” dura tre settimane, è facile capire che i “civilizzati” (si fa per dire) rischino quasi esclusivamente di prendere il virus da chi viaggia in aereo e poi si ammala, dopo essere arrivato a destinazione proveniendo dalle regioni africane interessate dall’epidemia. Questo molto in teoria, perché in pratica Jon Kelly (BBC News Magazine), citando il prof. William Schaffner (Vanderbilt University, Usa) esclude, per esempio, che gli altri passeggeri del velivolo possano contrarre la malattia «il rischio – ha detto – è essenzialmente zero». Insomma, finora l’unico contagio via “respiro” sarebbe quello avutosi anni fa nella cittadina americana di Reston, con un passaggio da una scimmia al suo guardiano. Questo evento (ancora tutto da dimostrare) avrebbe dato il nome a una variante del virus, nota appunto come “Reston”. Il caso resta l’unico e solo, perché tutta la comunità dei virologi è in sintonia sul fatto che Ebola si trasmetta solo attraverso il contatto con i fluidi corporei. Insomma, non è “airborne” come l’influenza e, al di fuori dell’organismo umano, a contatto con tessuti, oggetti e altro materiale è «praticamente inoffensivo» e sopravvive solo pochi minuti in condizioni di estrema debolezza. Lo ribadisce il dottor Peter Hotez, preside della National School of Tropical Medicine alla Baylor University (Usa). L’eccezione è «una visibile presenza di sangue o altri fluidi corporei», ad esempio su una poltrona. Ma in questo caso, sostiene la CDC (Center for Disease Control and Prevention), Ebola o non Ebola, nessuno andrebbe a sedersi, anche in tempi normali, su una superficie lurida. D’altro canto, aggiunge Arnold Monto, docente di Epidemiologia all’Università del Michigan, una superficie “bagnata” di sudore non è più pericolosa di una asciutta, perché in tali condizioni è abbastanza inverosimile che scatti il contagio. Insomma, un fatto dev’essere chiaro a tutti, afferma ancora Schaffner: se la malattia non è conclamata non si trasmette. E poi i protocolli e le “guidelines” da applicare sui voli sono estremamente efficaci, se correttamente seguiti. Monto cita l’esempio della Sars, che pure si trasmetteva col respiro. Ebbene, alla fine del ciclo epidemiologico, praticamente limitato a qualche regione dell’Oriente asiatico, i casi di contagio attraverso viaggi aerei sono praticamente stati insignificanti. Comunque sia, lo abbiamo già scritto nell’incipit, Ebola fa venire i sudori freddi alla schiena dei potenti, anche se non fino al punto di costringerli a mollare l’osso. Nel senso che l’Onu ha lanciato un appello ai “civilizzati” per raccogliere un miliardo di dollari da destinare all’emergenza, ma finora si è arrivati ad appena 400 milioni, la maggior parte dei quali (oltre 200) donati dagli Stati Uniti. Per generosità, senso di leadership mondiale o “carbone bagnato”? Boh. L’Unione Europea ne ha sganciati solo 15, la Cina 9 e il Giappone la miseria di 5. Insomma, qui, è chiaro, la solidarietà è inversamente proporzionale alla distanza da dove si muore. Forse perché si pensa che le cose debbano capitare sempre agli altri . Il che non significa abbassare la guardia, ma nemmeno uscire di testa facendosi prendere dal panico.