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Anche il Senato Usa
contro Obama?


di Piero Orteca

      Mai come questa volta le temute elezioni di “mezzo termine” negli Stati Uniti fanno “coppia” con la Notte di Halloween. Per Obama. Che già da un pezzo vede aggirarsi nei corridoi della Casa Bianca spettri di ogni tipo, folletti extralarge e cocuzze “baffe” illuminate dalle candele. Si tratti di Medio Oriente, di buchi al bilancio federale (che sembra ormai una forma di svizzero), di riformicchia sanitaria o delle alterne vicende di politica interna, l’inquilino dello Studio Ovale non vede l’ora che passi il 2014. L’ultima botta potrebbe arrivargli, martedì prossimo, proprio dal voto per il rinnovo della Camera e del Senato a stelle e strisce. Ci spieghiamo. Contrariamente a ciò che in molti pensano, il presidente degli Stati Uniti non è l’uomo più potente del mondo. Insomma, non può fare tutto quello che gli passa per la capa. La democrazia americana possiede pesi e contrappesi costituzionali tali da mettere nell’angolo, sui temi “strategici” per la nazione, anche il più autorevole comandante in capo. Se il Congresso non lo segue, se Camera e Senato gli votano contro, il presidente Usa deve sudare sette camicie per far passare anche la legge sulla medaglietta per i cani, o quella che disciplina il confezionamento delle scatolette per il gatto. E, tanto per rimanere nel meraviglioso mondo degli animali, in questo caso viene definito come “lame-duck”, cioè “anatra zoppa”. Termine colorito, certo, ma che che dà assolutamente l’idea dell’andatura caracollante che potrebbe avere Obama negli ultimi due anni del suo mandato. Bene, (cioè, male, per lui) martedì il presidente potrebbe perdere anche il controllo del Senato, dopo avere perso quello della Camera alle precedenti elezioni di “mid-term”. Ergo: se questa ipotesi, probabile visti gli ultimi sondaggi, dovesse effettivamente concretizzarsi, allora Barack Obama sarà costretto a chiedere continuamente “permesso” ai suoi nemici repubblicani anche per andare in bagno. Ieri ha tirato fuori dal cilindro l’ultimo coniglio bianco per evitare la scoppola: si è appellato (indirettamente) al voto femminile, dicendo che le donne non possono essere pagate meno degli uomini per fare lo stesso lavoro. Giusto. Ma se n’è accorto solo ora, a tre giorni dal voto? La cosa puzza di bruciato, anzi di zolfo. E siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ecco che la situazione si è ingarbugliata, non solo per gli americani, ma anche per il resto del pianeta. Doversi affidare a un timoniere “d imezzato”, che prima di cambiare rotta per evitare un ostacolo improvviso deve aprire le consultazioni col resto dell’equipaggio, non è il massimo della vita. Hai voglia di pigliare iceberg! E il transatlantico a stelle e strisce, il Titanic della politica internazionale, negli ultimi anni, montagne, di faccia o di cozzo, ne ha prese assai. Per fortuna senza affondare, se no avrebbe trascinato anche noi e il resto della compagnia a fondo, come tanti ferri da stiro. Per la sicurezza internazionale e per l’economia mondiale, insomma, gli Stati Uniti sono decisivi e influenzano le nostre giornate anche a seimila chilometri di distanza. Capito perché se Obama è preso dai turcomanni al Congresso, di riffa o di raffa, le pere poi finiamo per pagarle pure noi? Ma andiamo ai fatti. Dato per scontatissimo che i democratici riperderanno la Camera, tutti i riflettori devono essere puntati sul Senato, dove attualmente i repubblicani sono in minoranza e Obama pone e dispone (anche se, qualche volta, il suo Partito Democratico gli ha girato le spalle). Finora la bilancia pendeva dal lato del presidente, 55 a 45. Martedì però si vota in due terzi degli Stati (negli Usa il Senato viene eletto “a rotazione”) e i repubblicani hanno bisogno di aggiudicarsi 6 seggi in più per inguaiare Obama e arrivare alla fatidica soglia di 51 su 100. Negli ultimi giorni il vento è girato e le previsioni danno la maggioranza democratica a rischio. A due giorni dal voto, il partito di Obama ha 38 seggi “sicuri” (conteggiando anche quelli dove non si vota, i cosiddetti “not up”), 6 definiti “likely” (“p r o b a b ili”), mentre un altro “p e nde” dal loro lato (classificato, appunto, come “l e aning”). I repubblicani hanno già in saccoccia 42 seggi, altri 3 “probabili” e in 3 sono “l e aning” (in vantaggio). Il totale provvisorio fa 48 a 45 per l’opposizione a Obama. Decisivi, dunque, risultano gli altri 7 seggi “messi a concorso” che sono valutati come “toss up”, cioè difficili da pronosticare. O almeno lo erano fino all’altro giorno, perché, lentamente ma inesorabilmente, in alcuni Stati “indecisi” (Kansas, Colorado, Arkansas, Alaska) stanno prendendo piede i repubblicani. Fatti quattro conti, insomma, Obama rischia di rimanere sotto per un paio di seggi. E buonanotte ai suonatori. Dovesse andare così, molte teste cadranno nell’e ntourage del presidente, che spifferi di corridoio danno già sull’imbufalito spinto. L’economia non va male, anzi. Rispetto all’Europa gli Stati Uniti fanno la figura di un’elegante monovolume messa a confronto con una gloriosa ma vecchia Giardinetta. Escono meglio di noi dalla crisi. Il vero disastro è la politica estera, con vite umane e soldi buttati dalla finestra per ottenere, in cambio, una crescita esponenziale del terrorismo islamico. Che fa proprio paura. Le rilevazioni sulle intenzioni di voto camminano a braccetto con quelle sul “job approval” del presidente (cioè l’approvazione del lavoro fin qui svolto dalla Casa Bianca). Ebbene, anche questi dati sono in sintonia con una crescente disaffezione degli obamiani. Il nostro cavaliere senza macchia e senza paura ha messo nel piatto tutto quello che aveva, rischiando di uscire da Capitol Hill ridotto come un santo Lazzaro, frullato nel tritacarne fuori giri dei repubblicani e dei democratici dissidenti. Adesso, gli basterà ascoltare “amici” e avversari con grande pazienza, per poi calare quello che finora è stato il suo asso nella manica, cioè l’a p p r o ccio “cooperativo”, per la serie “vinciamo tutti assieme”? Forse, ma ne dubitiamo, perché in vista delle prossime presidenziali i repubblicani non faranno più sconti. Per la Casa Bianca la Notte di Halloween rischia di durare tutto l’anno.

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