"Non si possono chiedere a Napolitano ulteriori sacrifici, c'è anche un problema di salute e uno stress terribile soprattutto in questi mesi, tenuto conto che lui è uno che fa tutto da solo, scrive i suoi discorsi, finanche i telegrammi... ". A dirlo è Emanuele Macaluso, compagno di partito del presidente della Repubblica ai tempi del Pci, in un' intervista a Repubblica. "Mi pare - aggiunge - che sul fatto che intenda lasciare il Quirinale la questione sia chiusa. Ha detto sempre e con chiarezza che avrebbe chiuso la sua seconda presidenza non concludendo il settennato, avviando un processo politico nuovo. E un processo politico è stato avviato", sono state "impostate riforme". Poi se non saranno portate a termine, come il presidente avrebbe invece voluto prima di dimettersi, secondo Macaluso è perché "il cammino è molto più accidentato. Però questo riguarda le forze politiche e il Parlamento". Ne è valsa la pena per Napolitano di accettare un secondo mandato? "Di fronte alla preoccupazione che le istituzioni non funzionassero, lui che è un uomo delle istituzioni per eccellenza, non poteva non accettare. Ha dato una frustata al Parlamento nel discorso d'insediamento, però se la dai a un cavallo questo si muove, se hai un asino si mette a scalciare...", risponde.
La data della sua uscita dal Quirinale ovviamente non è fissata ma il ragionamento su modi e tempi della fine anticipata del secondo mandato presidenziale è aperto da tempo. Giorgio Napolitano diede la linea con chiarezza già nell'aprile 2013 nel suo durissimo discorso d'insediamento: la scelta delle sue dimissioni dipenderà solo da lui, dalle sue forze e dalla concretezza che sapranno dimostrare le forze politiche nel percorso riformatore. "Restero' fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerira' e comunque le forze me lo consentiranno'', chiarì alle Camere riunite dopo la clamorosa deblacle delle fumate nere che bruciarono prima Marini e poi Prodi.
Si tratterà per certo di un'uscita morbida: Napolitano da tempo ragiona sul suo ruolo, sulle sue forze e sulle tante scadenze che attendono il Parlamento nei prossimi mesi. Perché, al di là di considerazioni che sono e rimangono personalissime, le dimissioni di un presidente della Repubblica non sono un accadimento da prendere a cuor leggero, senza un'attenta analisi dei pro e dei contro e senza una minuziosa valutazione del periodo in cui queste dimissioni possano aver il minor impatto possibile sulla laboriosità delle Camere e la tenuta dell'esecutivo. Napolitano infatti non intende in alcun caso diventare - suo malgrado e neanche indirettamente - né un ostacolo né tantomeno un freno per la già farraginosa macchina parlamentare.
Impensabile quindi - salvo ragioni eccezionali che al momento non sono all'ordine del giorno - che il presidente possa dimettersi all'improvviso attraverso una stringata nota trasmessa dalle agenzie. Occorrerà una preparazione progressiva dell'evento, che bilanci la necessità del Quirinale di non apparire dimissionario prima del tempo (e quindi depotenziato nelle sue delicatissime prerogative costituzionali) e la sentita preoccupazione che la complessa procedura per l'elezione di un nuovo presidente possa configurarsi d'ostacolo alla primaria necessità del Parlamento di legiferare.
Senza contare i timori inespressi dal Colle ma registrati in tutti gli ambienti politici che senza un'adeguata e ragionata preparazione dell'uscita si possa riproporre l'incubo del 2013, quando un Parlamento annichilito polverizzava nomi illustri sull'altare del voto segreto e della sfida alla disciplina di partito. Come non pensarlo anche oggi dopo che ben 21 votazioni a Camere congiunte non sono ancora riuscite a completare l'organico della Corte costituzionale?
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