Il Prodotto interno lordo italiano, ultimo rilevamento relativo a luglio-agosto-settembre, ha segnato un meno 0,10 per cento. Complessivamente, dall’inizio della crisi (primo trimestre 2008), uno smottamento del 9,4 per cento. I numeri della disfatta assecondano la tesi dell’economista Paul Krugman: la recessione dispiegherà i suoi nefasti effetti per almeno qualche decennio. Il premio Nobel ha esagerato? Non proprio, quantomeno per l’Italia e l’Europa. Dopo la grande depressione del 1929, precedente storico certamente comparabile per svariati aspetti, i primi segnali di ripresa dell’economia mondiale si manifestarono nel 1935, ovvero sei anni dopo il maggior picco di criticità. Oggi, quasi alla fine del settimo anno di profondo rosso, non si intravede alcun segno di inequivocabile decisa inversione di tendenza. La stessa Banca centrale europea, sempre parca di parole, scrutando l’orizzonte, non riesce più a nascondere una certa inquietudine: il sole della ripresa non scalderà neppure il 2015. La mancanza di strategie e l’abbondanza di tasse, del resto, giusto per rimanere ai fatti di casa nostra, continuano a spargere sale sulle ferite di un apparato industriale in evidente sofferenza. La stessa Legge di stabilità, contrabbandata come un’opera dell’ingegno, non ha regalato nulla di rilevante e non stimolerà la produzione di nuova ricchezza: chi può scappa a gambe levate e gli ultimi avamposti del Made in Italy finiscono in mani straniere. Ricostituire l’Iri o usare la Cassa depositi e prestiti come incubatore d’impresa? Perché no, se si guarda a una sana reingegnerizzazione del Paese. Al momento, purtroppo, va a gonfie vele esclusivamente l’industria delle chiacchiere. Solo la Chiesa sembra avere compreso, nell’esatta dimensione, il dramma di questa malconcia Italia. Discettiamo di legge elettorale, di designazione dei componenti di Corte costituzionale e Csm, di nuovo Senato? Meglio soffermarsi sulle parole del cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale: «L’Italia salvi le eccellenze delle sue industrie». Come? La crisi economica è grave e occorre «un patto sociale per dare una risposta alla gente che soffre». L’invito ha riferimenti concreti, a partire dallo strategico comparto dell’acciaio: Terni, Genova, Taranto che sono «i gioielli di casa». Una stoccata pure al piano di privatizzazioni del Governo Renzi. Vendere per ripianare i debiti? La storia recente – ha detto Bagnasco –ci ha insegnato che la realtà industriale si è dissolta là dove è venuto meno l’ancoraggio a “casa Italia”. C’è bisogno di fare fronte comune per stoppare il declino. Il Parlamento, è questo il forte invito della Chiesa, getti le premesse di una profonda rinascita economica e culturale. Vox clamantis in deserto?
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