La riforma del bicameralismo e del TItolo V, supera il primo passaggio alla Camera: poco prima di mezzanotte infatti la Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato il testo, cosa che consentirà di rispettare la data del 16 dicembre, quale giorno per approdare in Aula, secondo gli auspici del governo e del premier Renzi. Al ddl licenziato dal Senato sono state apportate importanti modifiche, comprese alcune richieste dalla minoranza del Pd. Questa apertura però non è bastata a evitare la spaccatura interna ai Dem, con la minoranza che è uscita al momento di votare alcuni articoli e che, alla fine, ha lasciare la Commissione. Soddisfatto, comunque, il ministro Maria Elena Boschi: "E' stato un lavoro complicato che però si e svolto in un clima di confronto leale", ha detto ringraziando i relatori. "Un lavoro svolto senza sacrificare il dibattito", ha aggiunto per poi dare appuntamento in Aula "dove avremo modo di confrontarci ancora".
La prima importante modifica è giunta con un emendamento dei relatori che modifica il procedimento legislativo. Un tema tecnico ma dalle implicazioni politiche e istituzionali. La riforma prevede il superamento dell'attuale bicameralismo, tranne per le riforme costituzionali e per poche altre leggi. Per le restanti il Senato può chiedere delle modifiche ai testi approvati dalla Camera, ma a seconda dei contenuti delle leggi sono previsti procedimenti diversi. Su alcune leggi per esempio il Senato può sì chiedere modifiche ma a maggioranza assoluta, e la Camera può respingere la richiesta del Senato ma anch'essa a maggioranza assoluta.
Per la legge di Bilancio e quella di Stabilità (l'ex Finanziaria) è stato introdotto per il Senato una maggioranza dei due terzi, ciò una limitazione dei poteri del futuro Senato. Questa modifica è stata approvata anche con i voti della minoranza Dem, che però non si è presentata in Aula al momento di votare un altro articolo, il 3, che di fatto ristabilisce la previsione di senatori di nomina presidenziali che invece erano stati eliminati mercoledì da un emendamento all'articolo 2, proprio grazie al voto della minoranza del Pd. Al termine di una vivace riunione, grazie alla mediazione del capogruppo Roberto Speranza, la minoranza ha convenuto di non mandare "sotto" il governo e di rispettare l'impegno di arrivare in Aula il 16 dicembre. Ma per problemi di "coscienza" ha chiesto di non votare alcuni articoli se non fossero stati accolte le loro richieste; di qui la richiesta di farsi sostituire in Commissione dal gruppo.
Sostituzione che non è stata necessaria perché nel frattempo prima M5s, poi la Lega e infine Sel hanno abbandonato i lavori dato che non venivano approvati le loro proposte. La minoranza non ha quindi preso parte al voto su un altro emendamento dei relatori, Emanuele Fiano (Pd) e Francesco Paolo Sisto (Fi), che recepiva la richiesta della stessa sinistra Dem. Il ddl prevede infatti che il governo può chiedere alla Camera di votare un suo ddl entro 60 giorni, e se ciò non avviene può chiedere un voto sul suo testo senza modifiche: si tratta del cosiddetto voto bloccato. Questa seconda parte è stata eliminata ma la minoranza del Pd non ha comunque preso parte al voto perché chiedeva limitazioni anche sul voto in data certa. La minaccia di abbandono si è concretizzata poco prima della chiusura. I cinque esponenti della minoranza rimasti ancora in Commissione, sono usciti definitivamente quando è stato preannuciato il no del governo a un emendamento della minoranza del Pd che chiede che già in questa legislatura la futura riforma elettorale, cioè l'Italicum, sia sottoposta a un giudizio preventivo della Corte Costituzionale: richiesta su cui relatori e governo non hanno intenzione di assentire. Un abbandono preceduto in serata da quello polemico di M5s e Lega.