"Con la stampa si andava d'amore e d'accordo e qualche 'incomprensione' giornalistica da allora si risolse senza bisogno di minacce. Fava invece non era più controllabile. Uccidendolo, Cosa nostra ha tutelato anche i propri interessi economici".
Lo dice - in un'intervista a Repubblica attraverso il suo avvocato - Maurizio Avola, collaboratore di giustizia, che il 5 gennaio dell'84 uccise il giornalista Pippo Fava. Avola, dopo 31 anni, spiega che "l'omicidio Fava è servito allo scopo della mafia e dei Cavalieri" di cui "Fava ne aveva scritto molto, parlando, in particolare, della mafia dai colletti bianchi". "Il giornalista - prosegue - aveva messo in crisi un equilibrio che si è subito ristabilito. Andava bene così a tutti, anche ai giornalisti. Poi nel 1992, quando i corleonesi hanno imboccato la linea stragista anche la stella di Santapaola è tramontata. Lui diceva che con lo Stato non ci si doveva scontrare, ma camminare insieme. Così a maggio del 1993 i suoi uomini più fidati lo hanno di fatto consegnato alle forze dell'ordine, forse per salvargli la vita". (ANSA)
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