Lunedì 23 Dicembre 2024

Francia, alle origini di un massacro

Cominciamo dalla fine. La religione c’entra con i terribili eventi di Parigi? La risposta più ovvia sarebbe: ma che razza di domanda è? Certo che c’entra. Lo comprendono tutti, meno quelli che dovrebbero capirlo per primi e che hanno persino responsabilità di governo. Gente che si presenta in tv per partecipare al festival di chi la spara più grossa. Rabbrividente, da far cadere le braccia. Perché ci fa pensare a un’altra sconsolante domanda: ma in che mani siamo? È un problema di “metodo” e di “merito”. Se non “sai” taci o esprimiti con prudenza, perché quando apri bocca e straparli fai solo danni e non aiuti nessuno a “capire”. Stéphane Charbonnier (“Charb”) e il suo settimanale erano da tempo nel mirino dell’estremismo islamico più sanguinario. Charlie Hebdo aveva subito varie minacce e un attentato incendiario e lo stesso “Charb” aveva una scorta, per quanto misera. Resta il fatto che le autorità francesi hanno clamorosamente sottovalutato i rischi, questo è poco ma è sicuro. Siamo in grado di mostrarvi le pagine di “Inspire”, la rivista di AQAP (Al Qaida in the Arabian Peninsula), che quasi due anni fa aveva proposto una lista di personaggi “wanted” (“ricercati”) vivi o morti, alla maniera del vecchio West. Il povero “Charb” figura al sesto posto, accanto a un altro macabro fotomontaggio che, sbeffeggiando Barack Obama, recita testualmente: “Yes we can. Un proiettile al giorno leva l’infedele di torno”. Crediamo che ogni ulteriore commento sia superfluo. E se la rivista ce l’abbiamo noi, a maggior ragione la dovevano avere anche i Servizi segreti francesi, vero Monsieur le Président Hollande? Nel “magazine” si fa un’approfondita disamina delle offese perpetrate contro il Profeta e si chiede di vendicarlo. Nel mirino c’è soprattutto la Francia, definita “l’invasore imbecille”, con riferimento a tutta il Nord Africa e alla sua fascia Sub-sahariana. Non si parla di Libia e della guerra civile scatenata da Sarkozy (quando non ha più “spartito dritto” con Gheddafi) , però si cita il Mali e l’ingresso in quel Paese di truppe francesi. Ma sgombriamo subito il campo da qualche possibile equivoco, che potrebbe sorgere nelle menti dei soliti perbenisti in servizio permanente effettivo: l’Islam è un universo per molti aspetti meraviglioso, che ha diverse cose da insegnare anche a noi cristiani, specie per quanto riguarda solidarietà, rispetto per la natura e un ammirevole misticismo nel rapporto con Dio. I musulmani sono, in un certo senso, più religiosi e dotati di energia spirituale di quanto lo siamo noi. Punto. Ma questa loro grande forza, a volte, è anche la loro grande debolezza, perché fa svanire in qualcuno il senso critico delle cose. Così la vita perde colori e sfumature e diventa “bianca” o “nera”, concretizzandosi in un devastante diktat, che cozza con la nostra cultura occidentale: o “con noi”, o “contro di noi”. Sono tutte premesse indispensabili per sforzarsi di comprendere le radici dell’odio, come quello ferocemente dimostrato negli attacchi terroristici in Francia. In primis, può convivere un Dio “clemente e misericordioso” con uno che incita invece i suoi devoti a punire gli infedeli? La risposta più ovvia è “no”. E così la pensa la stragrande maggioranza dei musulmani. Solo che c’è un inghippo. Nel Corano sono presenti alcune “sure” che possono essere male interpretate e che costituiscono una base “giustificazionista” per il fondamentalismo islamico più “duro e puro”, quello, per capirci, che non esita a sparare nel mucchio (e non solo sui cristiani). Per gli specialisti è una questione vecchia che, purtroppo, spesso ritorna traumaticamente a galla e che va sotto il nome di “abrogazionismo”. Il Corano non ha una successione cronologicamente chiara dei suoi versi. Non si capisce, insomma, quale verso sia stato scritto prima e quale sia stato, invece, formulato dopo. Per cui, se sullo stesso tema compaiono due posizioni apparentemente diverse, diventa difficile stabilire a quale affidarsi. Insomma, quale delle due “abroga” l’altra. Ecco spiegato perché anche al Qaida, il “Califfo” e tutta la galassia terroristica sono convinti di ispirarsi al Corano senza paura di contraddirsi. La questione è ancor più ingarbugliata dal fatto che non esiste una sorta di “autorità religiosa suprema”(come il nostro Papa, per intenderci) che fissi criteri inderogabili di interpretazione delle sacre scritture islamiche. Non solo per il Corano, ma anche per i cosiddetti “hadith”, scritti dopo la morte del Profeta. Le diverse scuole di pensiero, come quella egiziana (autorevolissima) di Al-Azhar, si esprimono in un senso, che è spesso quello della tolleranza, ma possono anche invitare i fedeli a fare il contrario. Come avviene in certe “madrase” (scuole coraniche) pakistane, sudanesi o in giro per tutta la Mezzaluna “allargata”, dal Marocco fino all’Asia Centrale. A questo punto, raccapezzarsi diventa proprio difficile, non solo per gli specialisti occidentali, ma anche per gli stessi musulmani. Un ulteriore elemento di complicazione è la frattura tra “sciiti” e “sunniti” e, in quest’ultimo campo, tra varie correnti di pensiero teologico: salafiti, wahabiti e via discorrendo. Come si vede, la questione è strutturalmente religiosa, con vari altri elementi “sociologici” che contribuiscono a rendere il puzzle ancora più complesso e inestricabile. Semplicemente ti manca quello che potremmo definire “l’interlocutore assoluto”, con cui cercare di ragionare sulle questioni che dividono le nostre culture. Ma torniamo ai terribili eventi parigini. Nel caso specifico non è tanto o solo un problema di “integrazione”, quanto, piuttosto, di numeri. In Francia esistono quasi sei milioni di musulmani. Se si “integra” perfettamente il 99,9% degli islamici (ipotesi straordinaria, quasi fantascientifica), resta uno 0,1% (cioè 6 mila persone) con cui dovere fare i conti. Un esercito di potenziali terroristi che, opportunamente indottrinati, possono far saltare il banco in qualsiasi momento. Certo, questa piccola percentuale può lievitare se al disagio religioso si mischia anche quello sociale, dando vita (e sembra il caso dei fratelli Kouachi) a una forma che, con un neologismo, potremmo definire “terrorismo delle banlieues”, le sterminate (e spesso emarginate, in tutti i sensi) periferie parigine. Risultato della riflessione: il terrorismo islamico non si può sradicare completamente, ma bisogna imparare a conviverci, cercando di prevenirlo. Magari lavorando di più dentro i governi ed evitando di andare in tv a fare comizi (e a collezionare figure barbine). 

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