L a rete antiterrorismo europea sembra uno scolapasta e fa acqua da tutte le parti. Questo spiega come siano stati necessari centomila poliziotti francesi (quelli che si sanno) per fermare quattro esaltati sanguinari (tra l’altro straconosciuti dai servizi di sicurezza) che si sono comprati i mitra facendo il mutuo in banca. Insomma, se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere. L’appunto arriva da alcuni specialisti in “affaires” mediorientali e dagli americani, che in quanto a maccheronate, sull’argomento, possono vantare un curriculum che pesa un paio di chili. A cominciare da tutte le leggerezze commesse prima degli attentati dell’11 settembre. Qualche tempo fa avevamo scritto su quello che avevamo definito “il fascino irresistibile del Califfo”: il numero dei volontari in arrivo dall’Europa che vanno ad arruolarsi sotto le bandiere dell’Islamic State (IS) “non accenna a diminuire”. Parole e musica erano sono di Gilles De Kerchove, coordinatore anti-terrorismo dell’Unione, il quale aveva anche aggiunto che Bruxelles, sulla questione, doveva darsi una mossa e agire “più velocemente”. Perchè il risveglio avrebbe potuto essere alquanto brusco. Qualche tempo fa il britannico “Guardian” aveva rivelato, testualmente, che “Major terrorist attack is inevitable as Isis fighters return”. Detto in parole spicce, “un attacco terroristico di grosse proporzioni è inevitabile, a mano a mano che i combattenti dell’Isis tornano da dove erano partiti”. Purtroppo, però, tutti questi vaticini sono rimasti lettera morta. Solo negli ultimi giorni, quasi svegliandosi da un lungo e colpevole letargo, le polizie del Vecchio Continente hanno fatto arrestare decine di jihadisti “in procinto di scatenare un’ondata di terrore”. Meglio tardi che mai, anche perchè i segnali di pericolo continuavano ad accumularsi e il massacro di Parigi ha solo finito per togliere il tappo a una bottiglia troppo piena. I jihadisti intercettati hanno quasi tutti in comune periodi di “servizio” (leggasi militanza e addestramento) in Siria, Irak e, qualcuno, anche in Afghanistan. Come Abou Soussi, rintracciato in Grecia, che sarebbe il coordinatore delle cellule islamiste in Belgio. Sull’argomento i più critici sono gli israeliani, che giudicano la collaborazione tra i diversi servizi di sicurezza europei e gli scambi di informazioni chiaramente insufficienti. E citano proprio il caso dell’operazione in Belgio, frutto, dicono, di un’occasionale partnership con i francesi piuttosto che essere la risultante di un’azione generale, concertata a livello continentale. L’Europol, in definitiva, non funziona per come dovrebbe e i meccanismi di “intelligence” comunitari, previsti sulla carta, si rivelano scarsamente efficaci. Con 18 milioni di musulmani che vivono in Paesi come Francia, Germania, Regno Unito, Italia e via di questo passo, concludono gli specialisti di Gerusalemme, beccare potenziali terroristi senza l’esistenza di un effettivo coordinamento dell’intelligence “è come cercare un ago in un pagliaio”. Tra le altre cose, il terrorismo jihadista ha fatto un salto di qualità notevole. Ora pubblica riviste on-line e riesce a compiere anche operazioni di pirateria informatica in grande stile. In una settimana sono stati “hackerati” ben 19 mila siti web nella sola Francia grazie ad attacchi sofisticati in partenza da mezzo mondo (alcuni persino da Malesia e Indonesia). Le manovre per infettare i computer, sostituendo le “home pages” con le bandiere del “Califfo” o di al Qaida e con slogan di tutti i tipi, hanno riguardato siti governativi, ospedali, banche, università e persino una catena di pizzerie. La minaccia di “cyberwarfare”, guerriglia elettronica, è stata presa talmente sul serio da aver costituito uno dei temi trattati, nel loro recente incontro, dal presidente Obama e dal primo ministro inglese Cameron. Secondo gli analisti americani, in questa fase i Paesi occidentali corrono seri rischi per le possibili azioni di “lupi solitari”, terroristi “fai da te” o “in sonno” pressochè impossibili da intercettare. Robert McFadden (del Soufan Group, un think-tank specializzato in sicurezza internazionale) non ha dubbi: i grossi attentati, che necessitano di un network preparatorio più articolato, possono anche essere prevenuti; ma gli attacchi estemporanei, condotti dal “terrorista della porta accanto”, assolutamente no. Più lunga è la catena, insomma, e più facile è trovare l’anello debole. Quando, però, ad agire sono cellule isolate o, addirittura, singoli individui, bisogna rassegnarsi a una risposta “flessibile”. David Gartenstein-Ross (della Foundation for the Defense of Democracies) teme, addirittura, che gli attacchi in stile parigino possano fare scuola ed essere emulati nell’intero Occidente. Magari vedendo protagonisti i combattenti partiti dall’Europa verso Siria e Irak ed allevati a pane e kalashnikov. Nel caso dei fratelli Cherif e Said Kouachi cambia poco. Si erano addestrati nello Yemen con AQAP (Al Qaida in the Arabian Peninsula) e, per questo, venivano monitorati dai servizi segreti francesi e da quelli Usa (erano nella no-fly list, cioè non potevano imbarcarsi sugli aerei di linea). Ma, evidentemente, tutto ciò non è bastato. Certo, nel caso francese rimangono molte zone d’ombra. È risaputo che al Qaida e il “Califfo” sono in competizione, se non in vera e propria rotta di collisione, per cui come facevano i due gruppi, quello dei Kouachi e l’altro, di Coulibaly, a collaborare? McFadden, comunque, non ha dubbi sul fatto che i 5 mila europei sbarcati in Siria (e Irak) per combattere con gli islamisti siano un serbatoio potenzialmente esplosivo, da cui le centrali del terrore possono pescare in qualsiasi momento. E la possibilità di adottare leggi “speciali” di controllo ha già sollevato un mare di polemiche, in particolare in Gran Bretagna, Paese di antica democrazia. Polemiche già sorte, in passato, in Francia, che però ora sembrano un pochino più sopite, dopo il muro di calcestruzzo preso in faccia a Parigi. Di sicuro, gli inglesi sono in fibrillazione, temendo una replica londinese dei recenti sanguinosi attentati conclusisi in un massacro. Andrew Parker, capo del mitico MI5 britannico (il servizio segreto di James Bond, per capirci) non le manda a dire e parla di possibili “complotti mortali”, definendo il livello della minaccia, in un inusuale commento (gli 007 britannici sono sempre molto abbottonati) “serio e complesso”. Il che, per farvi capire, significa, in pratica, che sente puzza di bruciato. I terroristi “della domenica” sono mortali, secondo Parker, perchè si imbevono quotidianamente di dottrina fondamentalista fino a esplodere in un raptus imprevedibile e incontrollabile, magari senza avere studiato uno straccio di piano. Per cui bisogna abbozzare e rassegnarsi ad anticipare le mosse dei terroristi più raffinati, quelli che pensano in grande stile e non si accontentano di sfogarsi con un attentato al primo supermercato che gli capita sotto mano. È triste e alquanto inquietante, ma le cose stanno così: il terrorismo non si vince totalmente, ma bisogna imparare a conviverci.