Una decina tra moschee e associazioni islamiche quasi tutte nel nord Italia, dove si incontrano e vengono veicolate le idee più radicali, e centinaia di pagine online tra Facebook, blog, chat e forum jihadisti spesso collegati ai grandi network del terrore: è la 'rete' degli aspiranti combattenti presenti nel nostro paese, il quadro di riferimento di quelle centinaia di soggetti "radiografati" da intelligence e antiterrorismo di cui ha parlato anche il ministro Alfano. Nell'ultimo report del Viminale sono state censite 514 associazioni e 396 luoghi di culto islamici: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di realtà moderate, che nulla hanno a che vedere con l'estremismo di matrice jihadista. Ma vi sono anche situazioni dove sia il radicalismo sia l'attività di proselitismo e reclutamento, trovano terreno fertile. In questo elenco figurerebbe la Comunità islamica di via Quaranta a Milano e la moschea Omar al Faruk in via Giusti a Varese, l'associazione culturale islamica Alhuda che ha sede nella moschea di Centocelle a Roma e quella di piazza Larga al Mercato a Napoli. E ancora il centro culturale in via Domenico Pino a Como e la moschea di Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, dove nel 2009 fu arrestato l'imam e suo figlio. Tutte realtà da cui potrebbero generarsi rischi per il nostro paese e per questo costantemente monitorate da chi deve fare prevenzione. Ma servizi e antiterrorismo tengono gli occhi puntati anche su altre piccole situazioni potenzialmente pericolose, presenti soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Liguria, Lazio e Toscana: non veri e propri centri culturali o moschee ma luoghi di ritrovo frequentati da convertiti e giovanissimi migranti di seconda generazione spesso radicalizzatisi attraverso il web. Così come non abbassano l'attenzione su quei luoghi che in passato sono stati al centro di indagini contro il terrorismo internazionale: è il caso ad esempio del centro culturale islamico di viale Jenner a Milano, che il Dipartimento del Tesoro americano definì alla fine degli anni novanta "la principale base di al Qaeda in Europa". Gli analisti ritengono che, nonostante le indagini e gli arresti degli anni scorsi, questi luoghi abbiano mantenuto una certa radicalità, imparando però ad agire con maggiore discrezione. L'altro fronte su cui si combatte la battaglia silenziosa è quello di internet: centinaia di pagine online dove è possibile trovare ogni sorta di informazione, abbeverarsi della propaganda jihadista grazie a video e sermoni postati dagli strateghi della comunicazione dell'Isis e di Al Qaeda, scambiarsi opinioni, cercare contatti per raggiungere i teatri di guerra. Ci sono centinaia di internauti italiani che frequentano i più conosciuti forum jihadisti - Shumukh, Ansar al-Mujadidden, Arabic, al-Qimmah e Ansar al-Mujahideen English - nonché i profili più o meno ufficiali dello Stato Islamico e di Al Qaeda, il portale dei jihadisti ceceni Kavkazcenter o, ancora, i blog e le chat dove si discute apertamente di guerra santa. E centinaia sono quelli che dalle pagine di Facebook parlano, più o meno apertamente, di jihad e attacchi all'occidente, postano materiali e video jihadisti, discutono di Sharia e condizione delle donne. Sono i siti che frequentava anche Anas el Abboubi, il marocchino naturalizzato italiano che è uno dei 5 foreign fighters indicati da Alfano e che aveva fondato la filiale italiana di Sharia4, un movimento ultra radicale nato in Belgio e molto attivo in rete. Mohammed Jarmoune - il ventenne italiano di origine marocchine condannato a 5 anni e 4 mesi - aveva invece un blog suo (gharib.highbb.com) e gestiva il gruppo Facebook 'Shreds' (Brandelli), assieme ad una yemenita di base a Londra. E' da tutte queste realtà che sarebbero scaturiti buona parte dei circa 170 alert - di cui un'ottantina riguardanti segnalazioni relative al nostro paese - analizzati dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo l'anno scorso. Nel corso degli anni, sono state oscurate decine di pagine e siti - uno su tutti, mimbar.sos, creato in Svizzera e considerato uno dei più importanti siti dell'islam radicale creati in Europa - e migliaia vengono costantemente monitorati, anche con sofisticatissimi software per captare parole specifiche. Ma per gli uomini dell'antiterrorismo è come cercare un ago in un pagliaio.