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Obama: l'America
risorta dalla recessione

"Stasera voltiamo pagina", perche' l'America "e' risorta dalla recessione", dalle ceneri di una crisi durata troppo a lungo. Ed e' giunta l'ora di impegnarsi "per un'economia che generi un aumento dei redditi e delle possibilita' per tutti", e non solo enormi fortune per pochi, escludendo la middle class. Per la prima volta, dopo sei anni alla Casa Bianca, Barack Obama abbandona ogni prudenza e canta vittoria. Alla fine del 2008 diventò presidente con gli Stati Uniti sull'orlo della bancarotta e, adesso che inizia il settimo anno del suo mandato, si sente di poter dire di aver vinto la sfida più grande. Chi si aspettava un presidente versione 'anatra zoppa' è destinato a rimanere deluso. L'attesissimo discorso sullo stato dell'Unione, il sesto di Obama, è tutto all'attacco. Come all'offensiva vogliono essere gli ultimi due anni a Pennsylvania Avenue. Un discorso che rappresenta l'ultima chance di lasciare il segno, un'eredità importante, oltre a indicare la strada a chi tra i democratici correrà per la sua successione. Un intervento, dunque, con gli occhi inevitabilmente rivolti al 2016. Dalla svolta nelle relazioni con Cuba alla rivoluzione fiscale, dai grandi temi di politica internazionale - in primis la lotta all'Isis (con la richiesta al Congresso di votare l'uso della forza) e al terrorismo internazionale - a quelli di politica interna, Obama lancia la sfida al nuovo Congresso in cui le due Camere sono ora in mano alla destra. Si appella al compromesso ove possibile. E chiede ai repubblicani, che in questi anni lo hanno ostacolato su tutto, di farsi finalmente avanti e di assumersi le proprie responsabilità, ora che hanno i numeri per decidere. Sa di metterli in difficoltà, perché dalla riforma dell'immigrazione a quella delle tasse sui più ricchi e delle agevolazioni per le famiglie della classe media, in gioco c'è il voto di milioni e milioni di americani. E i repubblicani, dopo gli schiaffi del 2008 e del 2012, non possono più permettersi di sbagliare, di lasciarsi andare a derive radicali da Tea Party. Per Obama, innanzitutto, è ora di entrare in nuova fase: quella in cui tutti i cittadini americani - non solo i più ricchi e le grandi imprese - possano beneficiare della ripresa economica. Quella ripresa ancora poco percepita nella middle class e nella fascia di popolazione più povera. Nonostante il pil sia tornato a crescere oltre il 5% e il tasso di disoccupazione sia sceso al 5,6%. Ecco dunque "l'operazione alla Robin Hood", come è stata ribattezzata, con un aumento del prelievo sui dividendi e sui capital gain per chi guadagna più di 500 mila euro l'anno, un'imposta sui trust creati dai super ricchi per non pagare tasse di successione e un incremento del prelievo sulle grandi banche e società finanziarie. Un'operazione da 320 miliardi di dollari in 10 anni, di cui 235 andranno a coprire sgravi per le famiglie con figli e misure come college gratis e malattia e congedi parentali retribuiti. Forte la spinta che il presidente vuole dare anche alla sua agenda sociale e non solo: dall'aumento del salario minimo alla questione razziale a quella delle nozze gay, oramai in mano alla Corte Suprema. Sul fronte della politica estera Obama vuole invece essere ricordato come il presidente che ha abbattuto uno degli ultimi muri della guerra fredda malgrado il gelo attuale con la Russia: l'obiettivo è la fine dell'embargo verso Cuba entro la fine della sua presidenza, nel 2016. Ma per entrare nella storia c'è anche la strada che porterebbe a una nuova era di relazioni con la Cina e, soprattutto, con l'Iran, con cui Obama vuole fortemente un accordo promettendo il veto su nuove proposte di sanzioni. Veto minacciato anche su ogni modifica che i repubblicani dovessero proporre al decreto con cui sono stati regolarizzati oltre 4 milioni di clandestini e sulla riforma sanitaria dell'Obamacare. Tra gli ospiti invitati allo State of the Union e seduti vicino alla first lady Michelle, persone che simboleggiano i successi raggiunti da Obama: dall'ex contractor Alan Gross detenuto per 5 anni a Cuba e il cui rilascio ha suggellato l'avvio del disgelo tra Washington e L'Avana a una dipendente della Fiat Chrysler, simbolo del salvataggio del settore dell'auto, uno dei fiori all'occhiello del presidente.

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