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Aiutarono ebrei
dell'Hotel Roma

Le ferite della Shoah riecheggiano anche nei luoghi di “confinamento”. Un nutrito gruppo di ebrei e antifascisti italiani, dal ‘40 al ’42, visse a Lungro. Conta trenta grani il rosario del “confinamento” che dal campo d’internamento Ferramonti di Tarsia raggiunse  il centro arbëresh.  Famiglie ebree ed antagonisti del regime fascista furono spediti alle pendici del Pollino sud-occidentale per espiare la “colpa” di appartenere ad una razza diversa e per subire le punizioni riservate agli oppositori politici. Le sofferenze, l’ isolamento e la fame patita dalle diciotto famiglie ebree che dormivano all’hotel Roma di Lungro, sono ancora vive nel ricordo di chi oggi rievoca aneddoti di quelle persone che, in mancanza di denaro, praticavano il mutuo soccorso e la riconoscenza dispensando generi alimentari per sfuggire ai morsi della fame e delle torture. Una pagina indelebile di solidarietà e prossimità alle tribolazioni degli altri, è stata scritta da molti lungresi che, seguendo lo spirito d’accoglienza postulato dalla mikpritja albanese,  hanno accolto perseguitati  e condannati politici. I più anziani ricordano ancora la disponibilità del medico Guglielmo Rebhun inibito dai fascisti a svolgere la professione ma sempre pronto a curare gratuitamente i lungresi in cambio di regali alimentari. Le testimonianze di Rolf Manfred Kuznitzki sull’afflato che suo padre Bertoldo aveva instaurato con Mario Balzanelli, figura centrale del partito comunista di Milano, anch’egli confinato a Lungro nel ’41, rimangono vive nella mente di chi, ancora oggi, nonostante l’età avanzata, ha memoria delle lunghe passeggiate che i due, sottobraccio, facevano per le vie lungresi, confrontandosi pacificamente sulle concezioni opposte del capitalismo e  del comunismo.

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