- I GRANDI ELETTORI: Nell'Aula di Montecitorio hanno diritto di entrare in 1.009: tutti i deputati ed i senatori, ai quali si aggiungono 58 rappresentanti delle Regioni. Ogni regione ne elegge tre, con l'eccezione della Valle d'Aosta che ne elegge uno. In tre non risponderanno alla 'chiama', seppure per ragioni diverse. Il presidente del Senato Pietro Grasso non ci sarà in quanto presidente supplente della Repubblica (sul banco della presidenza, accanto a Laura Boldrini, sarà sostituito dalla vicepresidente di Palazzo Madama Valeria Fedeli del Pd). Ma alle votazioni non potranno partecipare nemmeno due deputati, al momento privati della libertà personale: Francantonio Genovese (Pd) e Giancarlo Galan (Fi).
- LA SEDUTA COMUNE: E' esclusivamente un seggio elettorale, presieduto dalla presidente della Camera: il che vuol dire che non può svolgere funzioni, tenere discussioni o assumere deliberazioni diverse dall'elezione del Capo dello Stato. In altre parole, dall'apertura alla chiusura si può solo votare, effettuare lo spoglio e proclamare il risultato. Il che vuol dire che non sono ammessi interventi dei componenti. L'ufficio di presidenza è quello di Montecitorio, così come il regolamento da applicare. Il primo atto della seduta comune è la lettura dell'elenco dei delegati regionali.
- I GRANDI ELETTORI - In questa occasione, i grandi elettori saranno 1009: compreso Giorgio Napolitano che dal momento delle sue dimissioni da presidente della Repubblica è senatore di diritto a vita. Ma l'Aula di Montecitorio non dispone di posti a sufficienza per tutti i 'grandi elettori': d'altra parte, la loro presenza in Aula è necessaria solo per votare.
- I QUORUM - La Costituzione prevede che nelle prime tre votazioni (se ne terrà una domani e due venerdì) la maggioranza richiesta per l'elezione sia quella dei due terzi dei componenti dell'Assemblea (ovvero 673 grandi elettori). Dal quarto scrutinio il quorum si abbassa: per essere eletti basterà la maggioranza assoluta dei componenti dell'Assemblea (ovvero, 505 grandi elettori). Non c'è una prassi certa sulla cadenza delle votazioni; tuttavia non ci sono precedenti di interi giorni di interruzione tra una votazione ed un'altra. La seduta comune è considerata un'unica seduta anche se si sviluppa in più giorni.
- LA VOTAZIONE - E' segreta e per schede. Per consuetudine, voteranno prima tutti i senatori, poi i deputati e quindi i delegati regionali. La 'chiama' dei grandi elettori sarà ripetuta due volte. Per assicurare la segretezza del voto, come avviene nei normali seggi elettorali, ciascun elettore entrerà nelle cabine (i cosiddetti 'catafalchi') poste sotto il banco della presidenza e scriverà a matita il nome del candidato che intende votare su una scheda timbrata e firmata dal segretario generale di Montecitorio. Quindi, uscito dalla cabina, l'elettore depositerà la scheda, ripiegata in quattro, nell'urna di vimini e raso verde (disegnata da Ernesto Basile), ribattezzata ®l'insalatiera¯, davanti alla quale vigila un segretario di presidenza.
- LO SPOGLIO: Viene fatto dal presidente della Camera, che legge in Aula i nomi dei votati, uno ad uno e ad alta voce. Il conto delle schede viene tenuto dai funzionari della Camera e dai componenti dell'ufficio di presidenza di Montecitorio, che si assumono il compito di scrutatori. Nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro era presidente della Camera e lesse le schede della votazione che lo portò al Quirinale; ma, poco prima che il quorum fosse raggiunto, lasciò il posto al vicepresidente della Camera, Stefano Rodotà, e aspettò il risultato definitivo nel suo ufficio.
- I RISULTATI: Alla fine di ogni votazione vengono letti all'Assemblea al termine dello spoglio. Per essere messe a verbale, le preferenze ai candidati devono essere almeno due. Chi riceve un solo voto viene conteggiato genericamente tra i "voti dispersi".
- SE VIENE A MANCARE UN GRANDE ELETTORE?: Se nel corso della seduta comune venisse a mancare un deputato o un senatore, si proclama il primo dei non eletti, che partecipa subito al voto. Più lunga la procedura per un delegato regionale: deve essere eletto dal consiglio regionale cui apparteneva il morto. C'è un solo precedente e risale al 1971: quello del senatore democristiano Celasco. Proclamato eletto in sostituzione del collega Fada, morto lo stesso giorno, partecipò alla votazione per eleggere al Colle Giovanni Leone. I 'vecchi' di Montecitorio ricordano che Celasco nella precedente legislatura era già stato eletto a palazzo Madama in sostituzione di un altro collega deceduto. (ANSA)