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Il giorno di Sergio Mattarella

Il pressing serrato del Pd. Riunioni dai toni a tratti drammatici nel centrodestra. Un appello finale di Matteo Renzi per «la più ampia convergenza» sul nome di Sergio Mattarella. La scelta di Silvio Berlusconi di confermare la scheda bianca e, in serata, la decisione di Angelino Alfano di ripensarci e dire sì al candidato Dem. Sono le istantanee che caratterizzano la vigilia del voto decisivo per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Mentre nell’Aula della Camera si succedono lenti il secondo e terzo scrutinio, con l’annunciata vittoria delle schede bianche, il premier e i suoi lavorano per blindare la quarta votazione, che stamane potrebbe portare il giudice della Consulta al Quirinale. Perché anche se il Pd resta compatto, la certezza di essere al riparo dai franchi tiratori possono garantirla solo i voti del centrodestra. Dentro FI e Ncd-Udc emergono per tutto il giorno spaccature dolorose. E in serata Alfano, dopo aver sentito anche Berlusconi, cambia idea: Area popolare non lascerà la scheda bianca, voterà Mattarella. Decisione che sarà formalizzata nell’assemblea dei grandi elettori prevista oggi alle 8. Fin dal primo mattino fioccano gli appelli del Pd perché gli altri partiti ci ripensino e convergano sul suo candidato. «È un nome che unisce tutti gli italiani», sottolinea il capogruppo Roberto Speranza. Il messaggio è rivolto anche ai 5 Stelle: si tratta di un candidato – viene fatto notare – dalla carriera specchiata e da tempo fuori dalla politica. Tanto che in serata i grillini si riuniscono per valutare se votarlo, anche se dovrebbero confermare Ferdinando Imposimato. Intanto, per tutto il giorno è martellante il pressing del Dem sul centrodestra. Dopo Scelta civica, anche i Popolari per l’Italia convergono su Mattarella. E si tenta di convincere gli altri contraenti del patto del Nazareno. «Con FI ricuciremo», assicura Maria Elena Boschi, che si spende in lunghi colloqui. Dal centrodestra però accusano Renzi di aver agito, nella scelta del candidato per il Quirinale, in modo unilaterale, indicando un nome gradito al Pd ma non a loro. Renato Brunetta sostiene che dietro la decisione del premier c’è la «volontà di andare a elezioni anticipate». Ma a stretto giro replica Luca Lotti, braccio destro del leader Pd: «Voteremo nel 2018, dopo aver fatto le riforme. Noi vogliamo farle insieme a FI, ma se Brunetta non vuole e Berlusconi lo seguirà, le faremo senza FI». Toni alti, insomma. E nervi tesi. Ncd si spacca tra chi vuole seguire la linea iniziale e votare scheda bianca anche al quarto scrutinio e chi Mattarella vuole votarlo. Tant’è che in Aula, tra i voti burla e le schede bianche, spuntano 17 preferenze per i due parlamentari Ap Marcello Gualdani e Giuseppe Pagano: un modo che gli esponenti pro-Mattarella, per lo più siciliani, usano per contarsi e lanciare un segnale. Ma è caos anche dentro FI: nel timore che il gruppo non superi compatto la prova della scheda bianca e qualcuno voti Mattarella, la tentazione è uscire tutti dall’Aula. Ma Raffaele Fitto, che è a capo della “fronda” azzurra, subito si smarca: «Sarebbe l’ennesimo autogol». Nel primo pomeriggio alla Camera arriva Renzi e riunisce, per analizzare la situazione, i 5 membri della delegazione Pd che lo ha affiancato nella partita del Colle. Poi, prima di incontrare l’ex presidente Giorgio Napolitano, con Guerini e Lotti vede Alfano e Casini, che poco prima a Palazzo Giustiniani avevano incontrato Denis Verdini e Gianni Letta. Il secondo vertice, quello con Renzi, è molto teso (in serata, però, tra i due c’è stata una telefonata definita «cordiale»). Il premier avrebbe detto al leader di Ncd: «Non capisco come faccia un ministro degli Interni a non votare una personalità come Mattarella». Sul tavolo, insomma, la scelta tra votare il candidato Dem e tenere il Viminale. In serata, appena finita con un’altra fumata nera la terza votazione in Aula, la mossa finale del premier: un appello a tutti i partiti perché, a poche ore dal «momento chiave» del quarto e decisivo scrutinio, scelgano «la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell’Italia». Una mossa per unire in extremis. Perché l’elezione del capo dello Stato «è una scelta che interpella tutti e non solo un partito», il Pd. «L’unico dispiacere per me è non poterlo votare», dice anche il presidente supplente Pietro Grasso. 

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