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Mattarella, torna la Politica

 Sergio Mattarella è il dodicesimo presidente della Repubblica italiana. Eletto al quarto scrutinio, con una maggioranza molto larga di 665 voti: quasi i due terzi. Alle 12.58, non appena il superamento del quorum ufficializza l’elezione, a Montecitorio scatta un applauso lungo quattro minuti: batte le mani, in piedi al centro dell’Aula, anche l’ex presidente Giorgio Napolitano. A braccia conserte solo Movimento 5 Stelle e Lega. «Buon lavoro presidente Mattarella! Viva l’Italia», esulta Matteo Renzi, che testimonia con la larga condivisione di non aver scelto «un supporter» del Pd ma «un arbitro» che «sarà un grande presidente». Nel nome di Mattarella si ricompattano i Dem. Ma il centrodestra esce dal voto dilaniato. Ncd è spaccato: tra gli alfaniani c’è chi si dimette. FI vota scheda bianca, ma nel segreto dell’urna Silvio Berlusconi perde una quarantina dei suoi. «Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini», sono le prime parole di Mattarella dopo l’elezione. È il primo siciliano al Quirinale il giudice della Consulta ed ex ministro, fratello di Piersanti, vittima di mafia. «Ci siamo commossi» nell’assistere in tv all’elezione, racconta Bernardo, uno dei tre figli, che era con lui. Poi assicura: «Papà è già al lavoro». Nel pomeriggio, la prima visita è alle Fosse Ardeatine, luogo simbolo della lotta al totalitarismo, a simboleggiare «unità contro il terrore». «È un gentiluomo, una persona perbene», esulta Renzi. «Se dirà dei sì e dei no lo farà sulla base delle sue convinzioni e della Costituzione». «Sarà un punto saldo di riferimento molto alto per le riforme», gioisce anche Napolitano, che delle riforme ha fatto la cifra del suo mandato. Le modifiche della Carta e la legge elettorale «vanno avanti», assicura in serata il premier: nessuna ipotesi di elezioni anticipate, considerato che «ci sono segnali di ripresa». Avanti con le riforme, dunque: anche se Berlusconi smetterà di sostenerle. Ma Renzi «scommette» che il patto del Nazareno, vacillante dopo la spaccatura sul Colle, resterà in piedi. Perché la decisione di FI di votare scheda bianca e non uscire dall’Aula è un «gesto – commenta – che testimonia una volontà di incontro». Anche la maggioranza di governo non porterà «i lividi» dello scontro consumatosi all’ombra del Quirinale, assicura il Pd. Anche se solo dopo tensioni e un forte pressing del premier, Area popolare (Ncd-Udc) in un’assemblea a ridosso della quarta votazione ufficializza la decisione di votare il candidato Dem e non più scheda bianca. Quei voti, che si sommano a quelli di Pd, Sel, centristi e autonomie, mettono la maggioranza per Mattarella al riparo dal rischio di una quota fisiologica di franchi tiratori. Ma il dietrofront deciso all’ultimo minuto spacca il partito di Alfano: si dimettono il capogruppo Sacconi, la portavoce Saltamartini, il tesoriere Bernardo. C’è chi, come Formigoni, invoca una riflessione e una verifica di governo. Al momento del voto in Aula però non solo il fronte per Mattarella tiene, ma si allarga fino a includere anche alcuni esponenti di Forza Italia, che non si allineano alla scelta della scheda bianca e mettono a nudo una profonda spaccatura nel partito. Le schede bianche alla fine sono 105. M5S, che rivendica una «discreta vittoria», dà a Ferdinando Imposimato 127 voti. Fdi e Lega votano Vittorio Feltri, che prende 46 voti; 17 ex grillini indicano Stefano Rodotà. Due voti ciascuno vanno a Bonino, Napolitano, Prodi e Martino: quasi una passerella. Il Pd tira un sospiro di sollievo, dopo aver cancellato l’onta dei 101 franchi tiratori di Prodi, e festeggia. «È stato un parto un po’lungo, di due anni, ma poi è arrivata» la scelta di Mattarella, rivendica Pier Luigi Bersani, che quel nome l’aveva già proposto nel 2013. Da oggi riprenderà il confronto interno sulle riforme, ma ieri il Pd si è compattato come mai. Intanto a Mattarella arrivano auguri di buon lavoro da tutto il mondo. Dal presidente americano Barack Obama al tedesco Joachim Gauck. Da Vladimir Putin a Francois Hollande. Anche il Papa scrive al nuovo capo dello Stato un telegramma perché possa esercitare il suo «alto compito al servizio dell’unità del Paese». 

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