Abbiamo sempre sottolineato come una caratteristica peculiare delle relazioni internazionali contemporanee sia quella di vedere mutare gli scenari repentinamente. Le aree regionali di crisi si “saldano” fra di loro, le Cancellerie devono dare risposte “flessibili” in tempo reale, contraddicendo spesso anni di consolidate strategie diplomatiche e, last but not least, a volte il risultato finale è uno stupefacente rovesciamento delle alleanze. Pigliamo il Medio Oriente, vero calderone in ebollizione, e concentriamoci su una zona sensibile, ad altissimo rischio, come quella rappresentata da tutta la fascia che, dal sud del Libano, tocca la Galilea israeliana, attraverso il Golan, e s’inoltra in Siria fino a Quneitra, lungo la direttrice per Damasco. Questa regione è un po’ la summa di tutto ciò che capita da quelle parti. E non solo. Alle antiche inimicizie tra Gerusalemme, gli Hezbollah (sciiti) e i siriani (alawiti), si aggiungono le “new entry” dei ribelli anti-Assad sunniti (moderati) e degli scatenati tagliatori di teste del “Califfo” (Islamic State), tutti l’un contro l’altro armati. Ma il vero convitato di pietra è l’Iran di Khamenei, grande protettore di Hezbollah e del siriano Assad e, udite udite, nuovo partner del cuore di Barack Obama che, in una notte d’agosto, un paio d’anni fa, cambiò d’acchito carrozza e cavallo: doveva spedire i missili sulla capa del presidente siriano e, invece, furono baci e abbracci con gli ayatollah e un “abbiamo scherzato” rivolto a tutti quelli che avevano fatto la guerra contro Damasco. Un giro di valzer da fare invidia a tutta la settima generazione degli Strauss e ai loro mecenati asburgici. Ora i nodi vengono al pettine. Obama si è tenuto buono l’Iran per trovare una scappatoia sul nucleare, ha dovuto abbozzare con Assad e si è ritrovato con Israele fuori dai gangheri. A Gerusalemme non si fidano di Teheran. Gli stessi sauditi hanno perso il sonno e la pace (temono un Golfo dominato dagli ayatollah) e stanno cercando, coi petrodollari, di finanziare tutti i movimenti sunniti possibili e immaginabili. E non è detto che, per vie traverse, qualche soldarello non arrivi anche a sua maestà il “Califfo”, che con le milizie dello Stato Islamico detta legge dall’Irak fino alla Siria settentrionale. Insomma, un polverone da togliere il respiro e una situazione diplomatica di quelle dove il più bravo non ci capisce il resto di niente. Si diceva del Libano e del Golan. In questi ultimi tempi, da quelle parti, se ne sono viste di tutti i colori. Ha cominciato l’IS, che con una mossa da prestigiatore, ha fatto sparire un’intera brigata addestrata dagli americani per farla ricomparire, dopo due giorni, tutta schierata dall’altro lato, cioè proprio col “Califfo”. La “al-Yarmouk Shuhada Brigade”, istruita (complimenti!) dall’US Army e dalla Cia per due anni, ha lasciato tutti con un palmo di naso e appena ha potuto ha fatto il gioco delle tre carte, mettendo il fronte sud-ovest siriano in subbuglio. Gli israeliani, che hanno fatto trapelare la notizia, sono letteralmente inferociti per la dabbenaggine americana, che pone le loro posizioni nel Golan in pericolo. La “Yarmouk” dispone di oltre 2 mila uomini che avrebbero dovuto agire da “alleati” contro Assad e che ora, invece, l’Occidente si ritrova contro, col rischio di veder collassare mezzo fronte. La costernazione di Gerusalemme nasce anche dal fatto che la “Yarmouk” controlla metà del confine tra Golan israeliano e Siria e parte di quello con la Giordania. Proprio da dove arrivano gli aiuti americani (a questo punto, non si sa proprio diretti a chi). Ma anche gli israeliani non sono rimasti con le mani in mano. Hanno pensato di andare a colpire alcuni esponenti “in trasferta” di Hezbollah nei pressi del Golan, e, nel mazzo, c’è rimasto secco anche un alto ufficiale iraniano che viaggiava con le milizie sciite. Domanda: il militare di Teheran è stato ucciso intenzionalmente? Sembrerebbe di no, ma il dubbio è lecito e sorge riflettendo su un’altra vicenda, lontana 7 mila chilometri dal Libano, ma collegatissima. Il Congresso americano (ora in mano ai repubblicani) presto discuterà la proposta di nuove sanzioni contro l’Iran sull’affaire nucleare. Una mossa che romperebbe le uova nel paniere a Obama, che sta pazientemente cercando di tenersi buoni gli ayatollah come “partner” privilegiati per combattere il “Califfo”. Il presidente, infatti, ha già fatto sapete che metterà il suo veto per impedire le ulteriori sanzioni, sperando di riuscire a bloccare un’azione che per lui rappresenta vero e proprio kerosene sul fuoco della crisi mediorientale. Gerusalemme sta cercando di sabotare l’accordo tra gli ayatollah e la Casa Bianca? Gli israeliani, però, sbirciano da dietro le tende e sperano di mandare a catafascio i piani della Casa Bianca di “appeasement” con Khamenei. Ergo: non è un caso se la tensione contro Hezbollah (e, quindi, per la proprietà transitiva, contro l’Iran) va crescendo ogni giorno che passa. Le milizie sciite hanno già “risposto”, uccidendo un ufficiale e un soldato israeliano con un attacco mirato condotto a colpi di mortaio in partenza dal Monte Dov. Gerusalemme ha replicato con raid aerei e colpi di artiglieria durati per 90 minuti. Ma l’aspetto più significativo, che lega i nostri ragionamenti, è che è stato lo stesso Governo di Teheran a chiarire come l’offensiva di Hezbollah sia stata una risposta adeguata al raid israeliano di cui si diceva sopra e in cui ci ha lasciato le penne addirittura un generale iraniano. Ora, sinceramente, non si capisce bene dove stia il “cui prodest”, cioè a chi convenga scatenare una guerra d’attrito con gli sciiti, nel momento in cui i sunniti del “Califfo” sembrano (e sono) la minaccia più immediata. A meno che non si voglia pensare a un piano del premier Netanyahu, anche in vista delle elezioni, per sabotare a oltranza l’intesa tra gli Stati Uniti e l’Iran. A pensare male, diceva qualcuno, si fa peccato ma spesso si azzecca. Sembra infatti sconclusionato (e abbastanza chiaramente anti-Obama) anche il bombardamento condotto dai caccia di Gerusalemme contro postazioni governative siriane nei dintorni di Damasco. Truppe che, lo ricordiamo, in questo momento combattono anche il “Califfo”. Che, comunque, tutti si debbano dare una calmata per non favorire le strategie dello Stato Islamico è testimoniato dalla recentissima presa di posizione di un falco come Nasrallah, capo di Hezbollah. Con una dichiarazione bellicosa nella forma, ma decisamente più possibilista nella sostanza, lo sceicco ha ripetuto “urbi et orbi” e, in primis, agli israeliani, che il Partito di Dio sciita non vuole la guerra, ma che risponderà colpo su colpo a tutti gli attacchi delle forze di Gerusalemme che, dal loro punto di vista, non tollerano la crescente presenza di consiglieri militari di Teheran a ridosso del Golan. È un’altra grana per Obama, che dovrà riuscire a smussare le tensioni tra Hezbollah, Iran e Israele per potersi concentrare sul nemico pubblico numero uno, che per lui resta il “Califfo”.
Medio Oriente, tutti contro tutti
di Piero Orteca
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