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Un omicidio che
complica tutto

                                                                                                  di Piero Orteca

Mosca come la Chicago anni 30 di Al Capone. La spietata uccisione di Boris Nemtsov, uno dei leader dell’opposizione, già vice primo ministro al tempo di “Corvo Bianco”Boris Eltsin, apre una caterva d’interrogativi e fa cadere una nuvola di calcinacci sulla situazione politica russa di questo tormentato periodo. Nemtsov è stato colpito a morte nei pressi del Cremlino, quasi una nemesi simbolica che però deve farci riflettere: era senz’altro un fiero avversario di Putin, ma prima di arrivare al “cui prodest”, ai mandanti di un’esecuzione che lascia raggelati, dobbiamo evitare conclusioni fin troppo facili. Senza certamente escluderle. Nemtsov, economista di radici liberali, da alcuni considerato uno dei possibili delfini di Eltsin, l’uomo che distrusse dal di dentro la Russia Sovietica, si era più volte espresso contro la guerra in Ucraina e, anzi, si era battuto per mobilitare l’opinione pubblica arrivando a sostenere una marcia per la pace. Non bisogna però, d’acchito, appiccicare etichette ideologiche a un omicidio che potrebbe affondare le sue radici nella notte dei tempi, nell’atavico contenzioso, vecchio di secoli, tra Mosca e Kiev. I russi odiano gli ucraini (e non da ora), li considerano un po’ come dei cugini slavi di serie B. Insomma, la democrazia, la Nato, il gas e via discorrendo c’entrano. Ma fino a un certo punto. Il resto lo fanno i conflitti etnici, linguistici e culturali; quelle differenze, cioè, che di tanto in tanto sfociano in un risentimento che da sordo si fa violento, e che parte dalla base. Secondo noi, di tutto aveva bisogno Vladimir Vladimirovic Putin in un momento tanto difficile per lui, ma non certamente di quest’omicidio. Che lo stringe in un angolo, mentre sta cercando di rimettere in gioco, giusto o sbagliato che sia, la Santa Madre Russia sul modello che fu dell’Unione Sovietica. Putin è un ex comunista del Kgb, un duro e puro senza tanti scrupoli, convertitosi alle circostanze imposte dalla storia. Caduto rovinosamente l’impero marxista-leninista costruito sulle sabbie mobili della pianificazione economica (si chiama in parole molto povere “resa per fame”) la Russia ha cercato di recuperare il passato prestigio di superpotenza costruito, dopo la seconda guerra mondiale, su un arsenale atomico terrificante e per gran parte intatto. Ergo: a buon intenditor poche parole. I vecchi “tovariscji” (compagni), ex zaristi ed ex tante altre cose, vanno trattati con le molle, perché questa è la realtà che ci sta davanti. Ridurli al rango di pezzenti diplomatici, come ha fatto l’America dei Bush e dei Clinton, ignorando un sano realismo, non serve proprio a nessuno. Anzi. In Ucraina l’Occidente ha fatto errori di grammatica clamorosi (come li aveva già fatti nella ex Jugoslavia e nel Caucaso, con la Georgia) alimentando un’escalation della crisi che ha portato a una quasi-guerra civile e che potrebbe scatenare un’apocalisse (non voluta) se il fesso di turno (non mancano mai) dovesse premere il bottone sbagliato. Dal vecchio mondo “bipolare”, congelato dal confronto tra superpotenze, siamo passati in pochi anni a un pianeta “unipolare” (con gli Stati Uniti poliziotti unici degli affari terrestri), per finire al mondo attuale “senza polarità”, cioè un sistema che diventa un boccone troppo grosso per essere governato da qualcuno. Insomma, viviamo alla giornata, la globalizzazione regola le nostre giornate, la complessità rende le relazioni internazionali imprevedibili e le sorprese sono dietro ogni angolo. Come la crisi finanziaria, diventata pandemia economica, che sta facendo più danni dell’asteroide che ammazzò i dinosauri. Per farla corta, niente è quello che sembra. E così, come nel gioco dell’oca, lanciando i dadi a casaccio torniamo con la paperella alla casella di partenza: l’omicidio del povero Nemtsov. Putin, con la sedia che di sicuro gli brucia sotto le terga, per bocca del suo portavoce Dimitry Peskov ha già condannato il fattaccio e ha reso noto di avere assunto personalmente la supervisione delle indagini. A ogni modo, Peskov poteva anche risparmiarsi la sua personalissima valutazione su Nemtsov (“non contava granché”). In verità, non occorre avere studiato ad Harvard per capire che quest’assassinio destabilizza ulteriormente la Russia e fa annaspare il capo del Cremlino. Al posto di Vladimir Vladimirovic andremmo fino in fondo alla faccenda, anche a costo di mettere le mani al collo a qualcuno “più realista del re”, a lui vicino, o a qualche esponente fuori di testa del separatismo filo-russo. O, sia detto chiaramente, a qualcun altro che forse potrebbe voler indirettamente sotterrare Putin, con la politica del “tanto peggio tanto meglio”. Tutte le opzioni restano aperte. Dal canto suo, il presidente ucraino Poroshenko vede l’omicidio Nemtsov come il cacio sui maccheroni e definisce il politico liberale un “pontiere” tra il suo Paese e la Russia. Mah, la verità è che da dove la pigli pigli, questa brutta faccenda puzza assai di bruciato. Anche se va ricordato che la stessa vittima, in una recente intervista, aveva espresso tutti i suoi timori per i metodi diciamo “spicci” di Putin. Sarah Rainsford, corrispondente da Mosca della britannica Bbc, parla comunque di pure speculazioni sui reali motivi dell’agguato e sui possibili mandanti, facendo intendere che il caso è abbastanza più complicato di quanto possa apparire a una prima analisi. Comunque, lo stesso network inglese elenca una lunga lista di morti violente che, guarda caso, hanno riguardato molti oppositori di Putin. Si comincia con Sergej Yushenkov (2003) e si prosegue con Yuri Shchekochikhin (giornalista, 2003, deceduto dopo una misteriosa malattia), Paul Klebnikov (editore dell’edizione moscovita di Forbes, 2004), Anna Politkovskaya (giornalista investigativa, 2006), Alexander Litvinenko (ex spia uccisa da un tè radioattivo a Londra nel 2006) e Boris Berezovsky (magnate ex amico di Putin, trovato morto nella sua casa di Londra nel 2013). Nel suo ultimo appello lanciato su Internet, Nemtsov aveva chiesto al fronte delle opposizioni di unirsi per una grande marcia di protesta che avrebbe dovuto tenersi proprio oggi a Maryno “per cercare di fermare la guerra in Ucraina e la politica di aggressione di Putin”. Il brillante politico riformatore, come detto, aveva espresso timori per la sua vita parlando sul web di Sobesednik: “Putin – aveva dichiarato – finirà per uccidermi”. Certo, messa così, la faccenda e i suoi retroscena potrebbero sembrare chiari da interpretare. Appunto, fin troppo. E bene ha fatto il presidente americano Barack Obama, a chiedere indagini “immediate e trasparenti”. Anche se si è ben guardato dal lanciare accuse a vanvera che potrebbero sembrare, in questa fase, forzate e sospette. Certo, gli americani in quanto a inchieste “trasparenti” non è che siano proprio da utilizzare a esempio. A distanza di oltre 50 anni aspettiamo ancora di sapere chi veramente abbia ordinato l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy e quella, per certi versi ancora più misteriosa, del fratello Bob, che stava per diventare, a sua volta, presidente. A meno di non credere alla tonnellata di facezie raccontate dalla Commissione Warren. Chi è senza peccato…

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