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Hillary ormai ha deciso: ci ritenta

                                                                                                 di Piero Orteca

 C i siamo, il dado è tratto. Come Cesare davanti al Rubicone, fatte le dovute proporzioni (la signora non ce ne voglia), oggi Hillary Clinton farà il gran passo e annuncerà la sua candidatura alla Casa Bianca per il 2016. Almeno su questa mossa tutta la stampa americana è concorde. Sul resto, cioè su come andrà a finire “the long run” (“la lunga corsa”), visto il personaggio in ballo, già se ne sentono di tutti i colori. Sorpresa? Manco per idea. Hillary lo Studio Ovale se lo sogna anche la notte, da lunghissima pezza. Almeno fin da quando il marito (per amici, nemici e vicini di casa meglio noto come “Bill Settebellezze”) se ne stava stravaccato coi piedi sulla scrivania a fumare sigari. E a ricevere stagiste. Lei, brillante avvocato, svelta di lingua e di cervello, ha sempre pensato di essere un po’ meglio del marito-presidente. Almeno così dicono i molti che, guarda tu, pur essendo “amici” (“e guardati”, si dice dalle nostre parti) non si fanno scappare occasione di spargere sale grosso sulle ferite che la povera Hillary si porta appresso. Assieme a quel caratterino che la rende antipatica persino a mezzo Partito Democratico. Il suo principale nemico? No, toglietevelo dalla testa, non è Monica Lewinski. Hillary è troppo intelligente per pensarlo. L’a f f a ire Lewinski tutto sommato le è servito a guadagnarsi la fama di moglie che dignitosamente “sopporta tutto”, in nome della famiglia e, soprattutto, della patria. Un quadretto strappalacrime (o strappavoti, fate voi), che le tornerà utilissimo l’anno prossimo. Ma non ve la calate, la signora non è di bocca dolce e di animo misericordioso. Tutt’altro. Qualcuno (democratico, non repubblicano) che la conosce bene, ci ha detto che, non ci fosse stata la poltrona della Casa Bianca in ballo nel suo futuro, forse il tradimento di Bill sarebbe stato ripagato a pedate “coast to coast”, cioè, per capirci, a calci nel sedere da Washington fino ai sobborghi di Los Angeles. Tornando alle inimicizie e ai “parenti-serpenti”, bisogna convenire che la muta degli avversari più insidiosi bivacca proprio dentro il Partito Democratico e che il “capo” degli anti-hillaryani è sicuramente Barack Obama, il quale, per un miliardo di motivi, non ha mai potuto digerire la signora dal sorriso, diciamo, automatico, e dalla lacrimuccia facile. Evidentemente, l’attuale presidente ricorda a palla tutte le maldicenze e i veri e propri sfonda-piedi confezionatigli dai Clinton durante le “sanguinose” primarie del 2008, quando la signora, un giorno sì e l’altro pure, gli sparava contro a palle incatenate. A cominciare dai dubbi, sparsi come chiodi a tre punte, sulla liceità del suo “f u n dr a ising”, cioè sul reperimento dei fondi per la campagna elettorale. Continuando con le critiche devastanti al programma-polpettone di Obama (giudicato peggiore di quello dei repubblicani) e finendo con l’aneddoto sulla visita fatta da Bill a Ted Kennedy, per indurlo a sostenere Hillary alle primarie (“Non ti verrà in mente di aiutare uno i cui antenati ci portavano il caffè a letto?” Avrebbe sibilato come un crotalo il maritino). Bene, allora diciamo che, al di là dei blablabla e delle frasi di circostanza, Obama se l’è legata al dito e che farà di tutto per sca raventare Hillary con tutta la sua monumentale scrivania nel Potomac. Dunque, tranne clamorosi dietrofront, oggi Hillary Clinton annuncerà le sue intenzioni con un messaggio online, prima di volare in Iowa e New Hampshire per cominciare a preparare il terreno in due Stati-simbolo per le presidenziali. Chi la sa lunga (Washington Post) afferma che in vista della sfida Mrs. Clinton ha addirittura deciso di emendare l’ultimo capitolo del suo libro di memorie (“Hard Choices”, cioè “Dure scelte”) introducendovi opportunisticamente alcuni temi “sociali” che costituiranno gli ingredienti del suo decalogo per il 2016. Come quello dei programmi scolastici e per l’infanzia, che era stato, guarda caso, uno dei cavalli di battaglia di Barack Obama durante le primarie del 2008, che avevano visto Hillary finire con le ossa rotte. Ad affiancarla nelle sue prime uscite vi sarà il sindaco di New York, l’italo-americano Bill de Blasio, che fece già parte del suo staff durante la campagna per le elezioni senatoriali del 2000. La Clinton, intanto, comincia a oliare gli ingranaggi per non fallire un’altra volta, dopo che nel 2008 fu il semi-sconosciuto senatore nero dell’Illinois a spezzare i suoi sogni di gloria. Ha già organizzato una cena col suo staff e con molti giornalisti, che doveva restare “segreta” ma che è finita su tutte le bocche. La “fiesta” hollywoodiana si è tenuta a casa di John Podesta. I più maligni dicono che Hillary stia cercando di partire col piede giusto “ammorbidendo” gli spigoli con i rappresentanti dei mass media, con i quali, scrive qualcuno (Michael Calderone, sull’Huffington Post), in passato ha avuto solo “toxic relationships” (ogni traduzione è superflua). Forse aveva travisato proprio i consigli del suo adviser “broccolino”, appunto Podesta, il quale le aveva consigliato “di prendere i cronisti per la gola”. E lei lo aveva letteralmente seguito, mettendo le mani al collo (metaforicamente è ovvio) dei giornalisti più prestigiosi e imbarcandosi in feroci polemiche. Questa volta John Podesta, cuoco raffinato, si è fatto capire meglio. Risultato: piatti di pasta alla salsa di noci, gamberi a go-go, dolci “di casa” e abbondanti libagioni a base di vini d’alta classe e birre d’autore. Il tutto alla faccia (e ti pareva!) dei sussidi sociali e della fame nel mondo, di cui, tra un’abbuffata e l’altra, si è dottamente discusso. Hillary non c’era, ma curavano le sue public relations i componenti dello staff: Robby Mook (campaign manager), Huma Abedin (chief of staff), Jennifer Palmieri (communications director), Karen Finney (strategic communications adviser), Mandy Grunwald (senior adviser), Joel Benenson (sondaggista) e, ovviamente il padrone di casa e capo dei capi, John Podesta. Alla cena erano presenti, tra gli altri, esponenti del New York Times, del Washington Post, del Wall Street Journal, di “P olitico”, della Reuters, dell’Associated Press, di Bloomberg, di McClatchy e inoltre gli alti papaveri dei maggiori network televisivi. Che odiano cordialmente Hillary, ma si attrezzano, perché non si sa mai.

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