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La Libia e la dis-Unione Europea

                                                                                                  di Piero Orteca

«L’Unione Europea schiererà una forza di pronto intervento per rispondere alla crisi alimentata ai suoi confini dalle migrazioni di massa. Si chiamerà Rapid Border Intervention Team». Ottima notizia, no? C’è però un piccolo particolare: il comunicato (ufficiale) è del 19 luglio del 2006. A distanza di 10 anni, quella che sembra una barzelletta viene riportata dagli americani di Stratfor Global Intelligence. Tanto per far capire come vanno le cose con gli scalda-sedie di Bruxelles. E che dire della fregata (nave) che il premier britannico Cameron vuole mandare nel Mediterraneo per lavarsi la coscienza? È niente in confronto alla fregata (imbroglio) che ci ha dato in Libia, qualche anno fa, assieme al suo compare d’anello, Capitan Fracassa–Sarkozy. L’emergenza umanitaria di oggi è anche e soprattutto figlia di quell’avventura da Far-West, una maccheronata in cui è stato coinvolto, con tutte le scarpe, anche un riottoso Barack Obama. Punto. Ma oggi che differenza c’è tra la Libia, la Francia di Sarkozy e l’Unione Europea? Nessuna. Tutte e tre rappresentano la risultante di una diplomazia fallimentare. Nel mazzo metteteci, oltre agli Stati Uniti, quell’immenso stipendificio che è l’Onu, e la carnevalata è completa. Insomma, ci sarebbe da ridere, se invece non ci fosse da piangere, lacrime amarissime, per la catasta di morti provocata da cotanta goffaggine nel gestire le emergenze internazionali. Dilettanti allo sbaraglio? Questo è sicuro, ma è solo la migliore delle ipotesi: c’è senz’altro di più. Siamo di fronte a sepolcri imbiancati che, dietro il paravento dei nobili sentimenti, si tirano le carte al petto e se ne strafregano di chi campa e di chi muore. E allora cerchiamo di mettere un po’ d’ordine, per confrontarci con un fenomeno come quello delle migrazioni di massa, intorno al quale si è alzato il solito polverone, alimentato dagli “esperti” del tubo (catodico) e dagli analisti “di tutto e di più”. Dunque, l’equazione Libia, Sarkozy, Unione Europea e Stati Uniti ha una sua validissima ragion d’essere. Dovete sapere che da lunga pezza esiste una “pista” o “carovaniera della disperazione” (chiamatela come volete, ma il concetto è chiaro) che dall’Africa Centrale, attraverso tutta l’area del Sahel e del Sahara converge sulla Libia. Gli specialisti la chiamano “Libyan Trail”, ed è in pratica il “collettore ad ansa” che, come un imbuto, incanala tutti i flussi migratori verso il Mediterraneo. Funziona da sempre e Gheddafi la utilizzava come mezzo di pressione sull’Occidente, controllando i terminali. Aprendo e chiudendo i rubinetti dell’esodo, esercitava un potere contrattuale considerevole. Naturalmente il suo era un ricatto che, però, a molti stava bene, perchè rimandava il problema. Che ancora non si è presentato in tutta la sua imponenza, dato che siamo solo agli inizi. Potenzialmente i numeri coinvolti nello scappa-scappa hanno tanti di quegli zeri che manco ve l’immaginate. Insomma, la Libia è la metafora indiscussa del clamoroso fallimento occidentale nel mettere il naso, a capocchia, nelle cose dell’Islam. Quando, dopo una vita fatta di abbuffamenti comuni a base di uranio, petrolio e armi, la Francia di Sarkozy decise di chiudere i conti con Gheddafi, tirandosi appresso, come primi compagni di merende, Cameron e un recalcitrante Obama (che già sentiva puzza di bruciato) pare che i servizi segreti di mezzo Occidente avessero già lanciato  l’allarme. «Occhio – dissero– perché ci andiamo a impantanare in una specie di Vietnam del deserto, dove non si capisce chi potrà comandare (e, infatti, ancora non comanda nessuno o, addirittura, detta legge il “Califfo”). Ma, soprattutto, visti storia e precedenti, gli 007 avvertirono i politicanti di turno che la Libia era destinata a diventare il supermarket dell’emigrazione. E poi sarebbero stati cavoli nostri, per usare un eufemismo. Gheddafi aveva trovato un nuovo modello di “business”, sulle spalle dei poveracci che scappano dalla fame e dalla guerra e, adesso, gli altri non fanno altro che seguirlo. Perché sui migranti mangiano tutti. Dai “grossisti” dei Paesi da dove partono, alle tribù di predoni che se li passano, ai carovanieri che li accompagnano, fino ai “broker” che li accolgono in Libia, per finire con gli scafisti. Costo unitario dell’operazione: fra tre e seimila dollari. Più (si dice) 500 dollari per chi vuole pure il salvagente. E ora andiamo al nocciolo della questione. Perché l’Unione Europea fa finta di interessarsi alla tragedia dei migranti, ma in realtà è girata dall’altro lato e lascia i Paesi che stanno in prima linea (come l’Italia) a sbrigarsela da soli? Beh, verrebbe da rispondere, come tutti i baracconi incollati con lo scotch e col tetto di lamiera, l’Ue al primo refolo di vento scricchiola. Figuratevi quando arrivano maestralate a cento chilometri l’ora. La chiave di tutto è il sistema che si sono inventati a Bruxelles, al tempo che fu, e che è stato furbescamente confezionato per scaricare su alcuni il peso che, ecumenicamente, avrebbero dovuto sopportare tutti quanti: il Regolamento di Dublino. Chi emigra sotto la spinta della guerra o per difendere la sua incolumità personale da un regime tirannico (quindi, in teoria, non per la ricerca di una migliore qualità economica della vita) può fare domanda d’asilo. Giusto. Però, fatta la legge e trovato l’inganno, è obbligato a fermarsi e a riempire le scartoffie «nel primo Paese d’arrivo ». Che, per chi giunge dall’Africa, è al 90% l’Italia. Ve l’immaginate voi i barconi che partono dalla Libia e che anziché andare in Sicilia puntano sulla Scozia, per accontentare i burocrati “ciclopici” (nel senso che hanno un occhio solo…) di Bruxelles? In un questo pateracchio c’entrano anche Schengen (il trattato sull’abolizione delle frontiere interne), il timore di possibili infiltrazioni terroristiche e, ovviamente, i costi di prima accoglienza, che se moltiplicati per 150 mila, come l’anno scorso (ma sulle cifre non ‘è chiarezza) hanno un senso e se moltiplicati per milioni (se salta per aria la Nigeria non bastano nemmeno tutti i barconi del mondo) ne hanno un altro. La soluzione? Elementare, Watson, avrebbe detto Sherlock Holmes: emendare Dublino. Chi arriva come rifugiato può spostarsi subito e fare domanda dove vuole, anche in Lapponia. E siccome (dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni) solo l’1% vuole restare in Italia e gli altri cercano Francia, Germania, Regno Unito, Svezia e via discorrendo, il carico sarebbe redistribuito in tutta Europa. La proposta? Bocciata. A parte una manciata di fagioli lanciata all’Italia nell’ambito dell’operazione “Triton”, per il resto la solidarietà europea è rimasta sulla bocca di tutti e nelle tasche di nessuno. Cialtroni.

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