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Londra, un voto contro l’Europa

                                                                                                     di Piero Orteca

 Qualcuno ha avuto persino il coraggio di titolare “A Bruxelles brindano alla vittoria dei Conservatori inglesi”, solo che nelle coppe, al posto dello champagne, forse c’era veleno. Il voto di Londra è molto semplicemente un voto “contro l’Europa”. Tutto questo mentre nel Regno dis-Unito (gli autonomisti scozzesi hanno fatto il pieno) scoppiano polemiche di fuoco sulle paturnie dei sondaggisti, che non ne hanno azzeccata una (a parte, appunto, il trionfo del National Scottish Party). Il premier uscente, David Cameron, ha fatto bingo, riuscendo a convincere i suoi compatrioti che la Gran Bretagna, grazie alla sterlina, è stata capace di affrontare la crisi economica molto meglio delle desolate lande dell’euro, abbrutite dall’austerità; quella imposta da quattro burocrati praticoni, spacciati per raffinati economisti, che il Premio Nobel Paul Krugman ha efficacemente definito “palloni gonfiati”. Guardando Oltremanica e riflettendo sugli indicatori statistici del Vecchio Continente, gli inglesi si sono iscritti a un corso accelerato di filosofia napoletana: “accà nisciunu è fesso”. E hanno votato per chi prometteva, tra le altre cose, di ridiscutere, attraverso un referendum, l’appartenenza del Regno dis-Unito all’Unione Europea. Intendiamoci, non è che i Conservatori di Cameron vogliano veramente uscire dal carrozzone di Bruxelles. Sarebbe un salto nel buio. Qui la “solidarietà europea” non c’entra il resto di niente. Lasciatela a chierichetti, vecchi tromboni e dame dell’Esercito della salvezza. No, la lite, al solito, è per la coperta, e Cameron spera di giocare a poker alzando il piatto. Come? Costringendo il resto della Corte dei miracoli europea (Germania in testa) a rinegoziare obblighi e trattati per togliere un po’di mastice all’Unione, lasciando così ognuno un po’ più libero di rompersi il collo per conto suo in campi come l’economia, la politica estera, l’immigrazione e via discorrendo. Non, quindi, il dilemma “Europa sì o Europa no”, ma più prosaicamente “Europa come”, per evitare quello che non è riuscito agli eredi della Prussia nella Prima e nella Seconda guerra mondiale: colonizzare il continente. Una cosa che stanno ancora cercando di fare a Berlino con le divisioni corazzate della Bundesbank, travestita (ma Mario Draghi ci ha messo una pezza) da Bce. Dunque, Cameron si è pappato la maggioranza assoluta (331 seggi), scaraventando i Laburisti di Ed Miliband in una cunetta, annichilendo i Liberaldemocratici di Nick Clegg e cancellando gli euro-assatanati Ukip di Nigel Farage, che hanno conquistato la miseria di un deputato. Pensierino della sera: tutti gli sconfitti, grande dignità e coda tra le gambe, hanno mollato l’osso, dimettendosi e riconoscendo di averle prese di santa ragione. Mentre da altre parti (l’Italia) certe facce ce le portiamo appresso dal tempo delle guerre puniche. “Uk political earthquake rocks EU”, titola l’austera BBC. Cioè, il “Terremoto politico britannico scuote l’Unione Europea”, tanto per far capire a quelli che brindavano prima come la cicuta gli andrà presto di traverso. Katya Adler (Europe editor) scrive che adesso saranno cavoli acidi per i panzoni di Bruxelles, perchè gli inglesi vorranno rinegoziare di tutto e di più, dai grandi trattati fino al prezzo delle scatolette per il gatto, rischiando di tirarsi appresso tutto il resto degli euroscettici del continente, che crescono e si moltiplicano come i funghi. “Piove, governo ladro” non l’avrà detto Aristotele, ma funziona ancora come fotografia degli umori del volgo e, nel caso delle disgrazie europee, vede in prima fila sul banco degli imputati, a torto o a ragione, proprio i burocrati di Bruxelles. Il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, ha già messo le mani avanti, cercando di raffreddare i bollori revisionistici. Dovranno essere i Paesi aderenti (attraverso singoli referendum, quindi) e non le istituzioni comunitarie a rivedere eventualmente i trattati, per allentare lacci e lacciuoli che a qualcuno sembrano troppo soffocanti. La qual cosa significa che, visti i tempi biblici dell’ iter, le impossibili “revisioni” potrebbero aprire la strada a traumatiche “secessioni”. Certo, diciamocelo francamente, la crisi finanziaria, traformatasi in crisi economica e poi in emergenza sociale, ha fatto venire drammaticamente a galla tutte le incongruenze decisionali comunitarie. L’UE è stata costruita male e troppo in fretta, come quelle case popolari dove si risparmia sul cemento, che vengono scatapecchiate alla prima botta di terremoto. Tra le altre cose, i problemi non colpiscono sempre tutti allo stesso modo e le soluzioni, spesso raffazzonate, rispecchiano la “asimmetricità” (mettiamola così, fa più fino) degli interessi. Che, tradotto più terra terra, significa che ognuno si guarda la sua barba e maneggia i trattati con la stessa impermeabilità di uno scolapasta. Se convengono si “applicano”, se invece confliggono si “interpretano”. Capiti i furboni? Pigliate l’emergenza immigrazione e valutate come Bruxelles sta trattando l’Italia, forse perchè è una crisi dove c’entra il mare: a pesci in faccia. Ora, in Inghilterra, Cameron ha puntato su un programma elettorale che ha sfruttato anche la miscela esplosiva dei buoni dati economici di fronte alla crisi, contrapposti ai vari bollettini di Caporetto che arrivano dalle capitali dell’euro. E poi la Grecia. Lo spettro che i conservatori hanno fatto ballare attorno ai letti dei cittadini britannici, per dimostrare, come i cantastorie di paese, che fine ha fatto “compare Turiddu” in Europa, con l’austerity, le tasse, i debiti pubblici e i salvataggi scombiccherati di banche, bancone e bancarelle. Risultato? Tutti più poveri di prima, deflazione a go-go (cioè, in parole povere, la cura ha ammazzato l’ammalato) e disoccupazione in orbita, con i poveri cristi a cercare di metter d’accordo il pranzo con la cena e i “palloni gonfiati” di cui sopra ad ammaestrare il popolo-bue sulle supreme delizie dell’austerità. Beh, in Inghilterra si sono fatti quattro conti e hanno pensato che piangere con un occhio è sempre meglio che spargere una piscina di lacrime amare, come sarebbe avvenuto sposando acriticamente il progetto della solidarietà europea, che funziona a intermittenza. Il consenso attribuito a Cameron gli rimette in mano il pallino, anzi uno staffile con cui potrà far ballare samba e bossa nova ai grigi politicanti di Bruxelles. Non vuole uscire dall’Europa, lo ripetiamo, ma intende sfruttare il suo potere contrattuale per rinegoziare, al rialzo e secondo un principio di “sussidiarietà”, clausole, paragrafi e codicilli di trattati che usano due pesi e quattro misure. In fondo, non è detto che da una profonda riflessione “all’inglese” sui meccanismi di funzionamento dell’Unione non traggano giovamento tutti i cittadini europei, interessati più ad avere istituzioni comunitarie snelle ed efficienti che a mantenere un esercito di cavillosi e superpagati burocrati scalda-sedie

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