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L'arcivescovo di Dublino:
Nozze gay? La Chiesa
faccia i conti con la realtà

La Chiesa in Irlanda "deve fare i conti con la realtà". Parola dell'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, che all'indomani della travolgente vittoria dei 'sì' al referendum sulle nozze gay fa una sorta di autocritica. "Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l'evidenza", ha dichiarato l'alto prelato alla televisione nazionale irlandese. Martin naturalmente ha votato al referendum ma riconosce che il risultato è "una rivoluzione sociale".

I diritti degli omosessuali vanno rispettati, ha detto ancora l'arcivescovo di Dublino, ma "senza cambiare la definizione di matrimonio". "La maggior parte dei giovani che hanno votato 'sì' sono il 'prodotto' delle nostre scuole cattoliche. Questa è una sfida anche per la Chiesa", ha aggiunto. L'Irlanda è stata il primo Paese al mondo a rendere legali le nozze gay tramite un referendum.

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"E' un fatto straordinario, è la vittoria dell'amore contro il pregiudizio. Questo vento pulito che arriva dall'Irlanda dovrebbe spazzare la polvere dell'ipocrisia che invece domina i palazzi romani". Lo afferma Nichi Vendola, leader di Sel, parlando di nozze gay al GrRai.

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La maggioranza che è emersa in quasi ogni angolo del Paese ha sorpreso anche quelli che proponevano il referendum. Il ministro della Sanità ha detto che non è stato un referendum ma una rivoluzione culturale. La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche". Lo afferma alla Stampa, l'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin. "Non si può attribuire questa maggioranza a un qualche complotto - spiega mons. Martin -, il voto riflette la situazione attuale della cultura irlandese: quanto è accaduto non è soltanto l'esito di una campagna per il sì o per il no,ma attesta un fenomeno molto più profondo. Quando andai in visita "ad limina" da Papa Benedetto XVI, la sua prima domanda era stata: dove sono i punti di contatto tra la Chiesa cattolica e i centri in cui si forma la cultura irlandese di oggi? Questa domanda di Papa Ratzinger è vera e bisogna trovare la risposta, perché siamo di fronte a una rivoluzione culturale". "È un cambiamento notevole - ammette l'arcivescovo di Dublino - i cui effetti concreti sono imprevedibili. Il premier cattolico assicura che per le chiese non cambierà nulla, ma saranno i tribunali a dover applicare la legge. Il matrimonio in chiesa è anche un matrimonio civile e le coppie gay che se lo vedranno rifiutare dal parroco potrebbero ricorrere ai giudici accusandoci di discriminazione se il legislatore non mette dei limiti. Nelle scuole cattoliche - aggiunge - gli insegnanti di educazione civica saranno obbligati adire che il matrimonio è anche tra persone dello stesso sesso. Tutto questo creerà problemi".

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Sull'esito del voto referendario nella "cattolica" Irlanda che ha introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso ha "pesato l'ombra di una tradizione secolare che, se ha fatto la storia dell'Irlanda, è uscita fatalmente discreditata dall'abisso dello scandalo della pedofilia che l'ha travolta, e sul quale Benedetto XVI, con una fermezza incrollabile, pretese fosse fatta piena luce garantendo il massimo della collaborazione con le autorità civili". Lo afferma il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire. "Dire, adesso, che l'esito del referendum sia una diretta conseguenza di quello scandalo - si legge in un editoriale a firma di Salvatore Mazza -, se forse non basta a spiegare, certamente è una realtà con la quale è indispensabile fare i conti. Perché non c'è il minimo dubbio che, nei toni e negli argomenti su cui s'è giocata in Irlanda la campagna referendaria a favore del 'sì', il messaggio subliminale che si trattasse di un plebiscito sulla Chiesa c'è stato". A cominciare, prosegue il giornale della Cei, "dall'imputare all''oscurantismo' dettato da una Chiesa 'retrograda' la responsabilità della legge che fino al 1993 considerava l'omosessualità un reato, quando invece si trattava di un retaggio della dominazione britannica".

 

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