E’ come le immagini di una Tac che documenti il progredire di una neoplasia: la cartina diffusa dall’Institute for the Study of the War non lascia grande spazio alle “interpretazioni” di comodo ( se ne sentono di tutti i colori in questi giorni). Il “Califfo” al Baghdadi e le sue assatanate milizie dello Stato Islamico ormai penetrano “a grappolo” in tutti gli interstizi di una vasta area, che va dall’Irak centro-settentrionale alla Siria, e giunge, “in franchising”, fino alla Libia, al Sahel e, persino, alla Nigeria. Le ultime bandierine i fondamentalisti le hanno piantate a Ramadi e Palmira. Ramadi è un importante centro strategico posto lungo la direttrice cha dalla capitale irakena Baghdad porta verso la frontiera siriana, nella provincia di Anbar. I piani d’attacco del Califfato si vanno espandendo, coinvolgendo ormai anche gran parte della Siria, dalla proincia di Homs fino ad Aleppo, passando per la storica città di Palmira, onusta di gloria e di allori, caduta anch’essa, nelle mani delle feroci milizie islamiste. Anzi, i guerrieri jihadisti si sono addirittura asserragliati dentro il museo del centro, di grande importanza archeologica, prendendo “in ostaggio” statue e reperti. Pronti, evidentemente, a farli saltare per aria come è stato già fatto da altre parti. Sostanzialmente, in Siria tutto il fronte anti-Assad ha ripreso vigore e, a nord, gruppi di qaidisti legati ad al-Nusra hanno conquistato Jisr al-Shugur, sbaragliando la guarnigione governativa. In “concorrenza” con i rivali fondamentalisti, gli uomini del “Califfo” sono tornati all’attacco anche in Arabia Saudita, con un sanguinoso attentato (19 morti) a una moschea sciita. E proprio la conrapposizione tra sunniti e sciiti sembra essere il leit-motiv attuale della guerra dentro l’universo islamico, in qualche modo, più o meno consapevolmente, alimentata dagli occidentali. Un esempio? Per tamponare la falla apertasi a Ramadi o, comunque, per metterci una pezza, almeno 3 mila miliziani sciiti si stanno concentrando nel centro di Husayba, per arginare le truppe dell’Isis. Altre voci parlano di reparti dell’esercito, di milizie sunnite e di unità della polizia che I stanno raggruppanfo ad Habbanya. D’altro canto, la caduta (rovinosa) di Ramadi, a soli cento chilometri dalla capitale, mette a rischio la stessa Baghdad. Almeno 500 morti e 40 mila profughi (un terzo della popolazione) sono gli immediati effetti visibili della conquista del capoluogo della provincia di Anbar e rappresentano un bruttissimo segnale per tutta la coalizione anti-Califfo. La situazione è talmente degenerata che l’armata Brancaleone, nella quale ognuno cammina per conto suo, ha deciso di riunirsi a Parigi all’inizio del mese prossimo, “per esaminare il da farsi”. Tradotto dal politichese, significa che la sirena del “si salvi chi può” comincia a girare a pieno regime e che se non si comincia a intervenire sul serio presto di Irak e Siria non resteranno manco le bucce. Gli osservatori concordano sul fatto che il governo di Baghdad è obiettivamente incapace di contrastare il “Califfo”. Molto meglio (e più motivate) le milizie sciite. Anche se nel mazzo operano gruppi di lealisti sunniti, schierati assieme ad “al-Hashd al Shaabi” (appunto gli sciiti) Insomma, un terrificante guazzabuglio, dove non si può essere sicuri di “chi spara a chi”. La verità è che, secondo Jim Muir, giornalista della Bbc, il primo ministro irakeno Haider al-Abadi non controlla più il resto di niente, e che, aggiungiamo noi, gli americani, per l’ennesima volta (e ti pareva) hanno preso attaccapanni per lampioni, sbagliando strategia e puntando sul cavallo sbagliato. In effetti, appoggiarsi alle milizie sciite può essere la mossa vincente (a marzo hanno preso Tikrit), ma può anche rappresentare la marca da bollo che certifica, ufficialmente, la guerra “mondiale” dentro l’Islam, con l’Occidente schierato tutto da un lato, appunto quello degli sciiti. La questione non è di lana caprina. Lo sbilanciamento dell’America obamiana verso l’Iran ha già creato un pandemonio in tutto il Golfo Persico, con i sunniti della regione sull’orlo di una crisi di nervi (contro gli Stati Uniti, è ovvio, ma anche contro il resto dell’Occidente). Tra le altre cose, uno scenario di questo tipo è manna dal cielo non solo per l’Isis, ma anche per al Qaida e per tutta la galassia del fondamentalismo sunnita. Ricapitoliamo. L’Occidente (Francia in primis, e poi anche Usa e Gran Bretagna) inventandosi le “Primavete arabe” o soffiandoci sopra per i loro meschini interessi nazionali (energia, commerci assortiti, materie prime, “lebensraum” strategico) hanno scatapecchiato tutti i vecchi assetti, sedimentati come polvere sotto il tappeto della storia. Tra i tanti geni malvagi usciti da questa perversa lampada di Aladino c’è stata proprio la feroce contrapposizione tra sunniti e sciiti. Scegliendo l’Iran (e, a cascata, il siriano Assad e i libanesi di Hezbollah) Obama ha truccato le carte, scaraventando l’universo sunnita (e qualche milione di potenziali terroristi) sull’altra sponda. Oggi non si capisce più niente: gli amici di una volta girano le spalle, i vecchi nemici sorridono a trentadue denti (davanti) e il resto della compagnia sta con un piede di qua e uno di là. A seconda di come soffia il vento. Il mondo è molto meno sicuro e, soprattutto, l’Europa è in prima linea pronta a pagarne le conseguenze. L’ottusità della politica contemporanea, la palese pochezza di molti “statisti”, l’ignoranza colossale con cui vengono affrontati iproblemi di un mondo affascinante, ma variegato e complesso, come quello musulmano, stanno facendo venire tutti i nodi al pettine. Il Medio Oriente è solo la faccia di una medaglia che ha molti rovesci, in tutti i sensi. La guerra tra sciiti e sunniti, resuscitata dalla dabbenaggine occidentale, rischia di allargarsi ad altre aree. Che dire dei rapporti sempre più tesi tra il quasi-atomico Iran e il già nuclearizzato Pakistan? I rapporti tra Islamabad e Teheran non sono mai stati certo idilliaci, ma il mortale attrito tra i sunniti e gli sciiti, presto potrebbe riservare sgradite sorprese. Gli ayatollah, per ora, accusano i pakistani di fomentare guerriglia e disordini in Beluchistan, nell’Iran Orientale. Un altro “regalo” della Primavera araba cara al trio Sarkoy-Cameron-Obama (quest’ultimo tirato per la collottola) è la Libia. Qua non c’è bisogno di richiamare la contrapposizione con gli sciiti: l’arcipelago di sanguinose inimicizie tribali tra gli stessi sunniti basta e avanza. Da quelle parti agiscono circa 1700 gruppi armati. Avete capito bene: praticamente una porta sí e una porta no, quando suonate al campanello, si affaccia un kalashnikov. Si stava meglio quando si stava peggio? Ai posteri l’ardua sentenza, diceva il poeta. Che, tradotto senza endecasillabi, potrebbe voler dire: vediamo come butta con l’assalto (ancora agli inizi, sia chiaro) dei migranti e poi diamo la risposta.