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Si è uccisa Paula Cooper
simbolo della lotta
contro pena di morte

Un colpo di pistola alla testa. Paula Cooper, la giovane nera divenuta simbolo della battaglia contro la pena di morte negli Usa, si è uccisa martedì mattina a Indianapolis. La donna - che nel 1986, a soli 16 anni, fu condannata alla sedia elettrica, suscitando una grande mobilitazione anche in Italia - e' stata trovata senza vita fuori da un residence nella parte nordovest della citta'. La polizia ha parlato di suicidio, anche se la conferma dovrebbe arrivare dall'autopsia che si svolgera' oggi.
  "E' una fine inconsueta per una caso tragico", ha ammesso il procuratore di Indianapolis, Jack Crawford. "Ho seguito molti casi nella mia vita, ma nessuno e' come questo", ha aggiunto, secondo quanto riporta Indystar.
  Paula aveva 15 anni quando, assieme ad altre tre ragazze, busso' alla porta della 78enne Ruth Pelke, insegnante di catechismo. Poco dopo, il marito trovo' il cadavere della vecchietta dilaniato da 33 coltellate; rubata la sua auto, assieme a 10 dollari mancanti nel borsellino.
  La giovane Cooper confesso' candidamente di aver organizzato il feroce assassinio per avere i soldi per fare shopping. Il giudice non ebbe dubbi: la ragazzina meritava la sedia elettrica. Paula fu trasferita nel braccio della morte ma il suo era gia' diventato un caso internazionale. La campagna di solidarieta' raggiunse l'Italia, dove i radicali aprirono le mobilitazioni, promuovendo il coordinamento 'Non uccidere' e raccogliendo milioni di firme. Persino Giovanni Paolo II si mobilito' per chiedere la grazia al governatore dell'Indiana.
  Alla fine la pena della Cooper fu commutata in 60 anni di carcere mentre lo Stato dell'Indiana - dopo lunghe polemiche - fece salire da 10 a 16 anni l'eta' minima per la condanna capitale.
  Paura era uscita dal carcere di Rockville nel 2013 per buona condotta, dopo aver scontato 27 anni. In prigione si era 'redenta', aveva preso il diploma di infermiera e imparato a cucinare ma, soprattutto, aveva conosciuto a fondo il nipote della sua vittima, Bill Pelke, che era andato a trovarla ben 14 volte e si era battuto in prima persona per la sua salvezza.
  Alla notizia della sua morte, Pelke si e' dichiarato "devastato". "Volevamo fare delle cose insieme sulla giustizia e sulla pena di morte", ha spiegato. In uno degli ultimi messaggi, la Cooper gli aveva comunicato che stava per essere scarcerata ma era impaurita: in fondo, aveva passato quasi tutta l'esistenza in prigione. Temeva di non essere pronta per la vita - e i problemi - di tutti i giorni.
  "Era una brava persona", ha ricordato Kevin Relphorde, suo difensore. "Non e' stata capita. Era stata abusata dal padre e credo che questo l'abbia spinta a fare cio' che ha fatto con Mrs Pelke".

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