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La parola d’ordine:
credibilità

La Grecia continua a tenere sotto pressione l’Unione Europea e il Fondo monetario. Il pagamento dei debiti in scadenza? Nessun problema, a patto che qualcuno sborsi, per nome e per conto del governo ellenico, gli euro e i dollari necessari. Le riforme per superare la crisi? Si faranno, forse, ma senza fretta. La permanenza nell’area euro? È certa, purché l’Ue sia più... comprensiva. I numeri tuttavia – ecco perché Draghi pretende un accordo forte – suonano le campane a morto: entro giugno Atene dovrà restituire 1,6 miliardi all’Fmi, inoltre si è impegnata a corrisponderne 3,6 a luglio e 3,5 ad agosto alla Bce. Appare fin troppo chiaro che il corto circuito, se non verranno concesse ulteriori linee di credito, sarà disastroso. Cosa ne conseguirebbe? Le procedure dell’Fmi prevedono il “periodo di grazia” di un mese, prima che il consiglio esecutivo prenda ufficialmente atto dell’insolvenza. Più o meno la stessa procedura per la Bce, che come primo atto potrebbe sospendere l’Ela (Emergency liquidity assistance) mandando in tilt il sistema bancario ellenico e gettando nel caos i mercati finanziari, forse meno vulnerabili grazie al Qe (acquisto titoli) della Bce. Visto come stanno le cose, pure nel caso di un accordo che pare si stia delineando, è ora che il Governo Renzi pensi ad alzare un robusto argine per controbilanciare l’alea greca: potrebbe essere il messaggio forte che si vuole percorrere fino in fondo la strada delle riforme. La credibilità, per quest’Italia arruffona, è l’unico vero antidoto alle turbolenze del mondo globalizzato. I primi provvedimenti sono stati utili. Funzionale alla crescita dell’occupazione il Jobs act, lungimirante la riforma delle banche popolari, garanzia di governabilità la nuova legge elettorale, un buon inizio i correttivi per rendere più efficiente la giustizia. Adesso la strategia riformista, per far stare in piedi il Paese, deve riprendere vigore. Le persistenti “omissioni” della politica sono note a tutti: i tagli alla sempre crescente spesa pubblica sono rimasti nel libro dei sogni, la pubblica amministrazione continua a essere tanto intoccabile quanto soffocante, le tasse penalizzano imprese e famiglie. Occorrono coraggio e ferrea volontà per fare in modo che l’Italia, grazie a un’autentica e profonda azione riformatrice, riconquisti la reputazione: un valore più importante del Prodotto interno lordo o dello spread sui Titoli di Stato. PS: l’Ue, qualche giorno fa, a proposito del regolamento sui brevetti, ha tagliato l’italiano, indicando come lingue obbligatorie solo inglese, francese e tedesco. Puntare i piedi, visto che siamo uno dei sei “soci” fondatori dell’Unione, non avrebbe contribuito alla nostra reputazione? O preferiamo chiamarla “reputation”?

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