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L’urlo di Rampulla:
Juve, ripeti l’impresa

di Paolo Cuomo

Gli slogan sono facili: “dalla Cina con amore per la Juve”; o, ancora meglio, “in pochi come lui”. Sì, perché 18 anni consecutivi – da giocatore, dirigente e infine componente dello staff tecnico – in una delle società più prestigiose del calcio internazionale, sono un privilegio che quasi nessuno può permettersi. Michelangelo Rampulla invece sì.

La telefonata da Canton con il 52enne ex portiere non finirebbe mai. Il filo del discorso è interminabile, lo perdiamo e lo riprendiamo, volando anche con la fantasia. Un concentrato di emozioni, ricordi, aneddoti, passione. Tutto molto bello, nonostante la giornata di ieri sia stata caratterizzata da un evento per nulla piacevole: l’addio al Guangzhou Evergrande – di cui dal 2012 era il preparatore dei portieri – dopo l’esonero a sorpresa di Fabio Cannavaro.

Michele è sempre la persona perbene e di sani principi che lasciò da giovane Scala di Patti per entrare nella storia della Juve. Un altro orgoglio di quel lembo di terra messinese che ci ha donato Tony Cairoli e l’indimenticata stella Annarita Sidoti.

Chi meglio di lui – che la Champions League l’ha vinta nel 1996 – può presentare l’appuntamento con la leggenda di domani all’Olympiastadion?

«È una finale che in partenza vede sfavorita la Juventus contro un Barcellona molto forte e abituato nelle ultime stagioni a gestire la pressione. La mia previsione è che sarà una partita più aperta di quanto possano, invece, indicare i pronostici della vigilia. 90 minuti o più indecifrabili. E i bianconeri, per quanto hanno mostrato in tutto il cammino europeo e, ovviamente, in campionato, sono certo che diranno la loro sino all’ultimo. Insomma, hanno buone chance da giocarsi anche se l’assenza last minute di Chiellini è pesante»

– Il fenomeno Leo Messi può vincere da solo...

«Sicuro. E Messi non potrà essere fermato da un unico avversario, perché è come Maradona e non c’è uomo in grado di limitarlo: ha il talento per inventare all’improvviso la magia decisiva. La Juventus ha, però, nel suo Dna le caratteristiche per contenerlo con una prova d’insieme e continui aiuti nella sua ampia zona d’azione. E comunque anche al genio argentino può capitare una giornata negativa...».

– L’uomo-chiave per la Juventus? Un nome.

«Punto sulla certezza Carlitos Tevez. Che ha dimostrato di essere un eccezionale match-winner. Se proprio vogliamo indicare il reparto meno sfavillante del Barcellona, è la difesa. Che ogni tanto si distrae e lascia i varchi giusti per colpire».

– Sono passati quasi 20 anni da quel 22 maggio del 1996, quando alzasti a Roma, come vice di Peruzzi e prezioso leader dello spogliatoio, quella che è l’ultima Coppa dei Campioni messa in bacheca dai bianconeri...

«Mi ricordo tutto come se fosse ieri e provo ancora tanta emozione. La vigilia alla Borghesiana, la straordinaria convinzione di potercela fare, la forza di un gruppo che poi sul campo avrebbe realizzato il capolavoro. E poi l’atmosfera elettrizzante che si respirava sul pullman che ci portava all’Olimpico, i rigori che ci hanno issato sul tetto d’Europa, i festeggiamenti in campo e assieme ai tifosi al nostro ritorno a Torino. E per me anche la gioia, in quella edizione, di aver disputato una gara, nella fase di qualificazione, a Bucarest contro la Steaua finita 0-0 e giocata in un clima pazzesco, con -20 gradi e il terreno ghiacciato».

– Per un decennio sei stato il numero 12 più forte d’Italia, un portiere di valore puro. Una scelta non facile che, però, ti ha regalato un palmares unico.

«Sono nato juventino e quando è arrivata la proposta nel 1992 era il coronamento di un sogno. Ho avuto la fortuna di avere, nel ruolo, due compagni che nelle loro epoche sono stati i migliori del mondo: Angelo Peruzzi e – proprio nell’ultimo anno della mia attività agonistica – Gigi Buffon, senza dimenticare Edwin van der Sar. Per me è stato un grande onore. E anche se davanti a me avevo questi “mostri sacri”, sono riuscito a ritagliarmi in campo uno spazio importante in tutte le stagioni, meritandomi le mie personali soddisfazioni».

– Ieri in porta come vice c’era il pattese doc Rampulla, carismatico uomo-squadra. Negli ultimi anni la stessa storia a tinte bianconere si è ripetuta con un messinese d’adozione come Marco Storari.

«Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo personalmente, ma la sua esperienza ricorda certamente la mia. Un portiere che ha sempre dimostrato le sue eccellenti qualità. Un titolare, bravo a farsi trovare pronto e molto apprezzato dalla Juventus in campo e fuori».

– Nel 2010 si conclude il lunghissimo matrimonio.Con amarezza, visto che eri un cardine dello staff tecnico.

«Non pensavo finisse così. Subito dopo l’addio, la delusione era davvero forte perché speravo di proseguire la mia magnifica vita in bianconero. Invece con l’approdo in società del nuovo management, c’è stato un cambio di rotta in vari settori. Per fortuna, dopo un po’, è arrivata la proposta di quello che considero uno dei più grandi allenatore all time, Marcello Lippi, che mi ha voluto ancora accanto a lui nello “sbarco” in Cina. Una scelta che ha rappresentato una svolta. A prescindere da come è appena finita, qui ho scoperto un calcio nuovo, di un livello superiore alle attese, in continuo miglioramento ed espansione. Abbiamo vinto tre titoli consecutivi, la prima Champions d’Asia nella storia della società, giocando il Mondiale per Club in Marocco contro il Bayern Monaco. Eravamo primi in campionato e ci eravamo qualificati per i quarti della Champions».

– Rampulla e Patti: un amore sempre intenso.

«Mio padre Cicco ha trasmesso un esempio importante a tutta la mia famiglia. Se sono diventato portiere è stato merito suo. Mi ripeteva spesso: “Quando ti intervistano ricorda che sei di Scala di Patti”. Anche in Cina, quando me lo hanno chiesto, io ho sempre risposto che sono nato in un paesino di 300 abitanti (che a Canton vivono in un solo palazzo, ndc), che nella zona del santuario di Tindari ha visto nascere e crescere due campioni del mondo: io e Tony Cairoli. E pure i cinesi non hanno nascosto la meraviglia».

 

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