Scoperta l'esistenza di un legame tra gruppo sanguigno e rischio di ammalarsi di Alzheimer. Uno studio condotto su volontari sani dai ricercatori dell'IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia e del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Sheffield (Gran Bretagna) ha infatti evidenziato come il gruppo sanguigno possa influire sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e sul rischio di declino cognitivo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Brain Research Bulletin, ha evidenziato che le persone con gruppo sanguigno O hanno più sostanza grigia di chi appartiene al gruppo A, B o AB: nello studio statistico, focalizzato su 189 volontari adulti sani, in precedenza sottoposti a risonanza magnetica strutturale, i ricercatori hanno calcolato i volumi di sostanza grigia dell'encefalo. I soggetti con gruppo sanguigno O hanno una quantità maggiore di sostanza grigia nella zona posteriore del cervelletto. Inoltre, i soggetti con gruppo sanguigno A, B o AB risultano avere volumi inferiori di sostanza grigia nelle regioni temporali e limbiche, tra cui l'ippocampo sinistro, una delle prime regioni del cervello a soffrire dei danni della malattia di Alzheimer. Molto probabilmente questo ridotto volume di sostanza grigia è collegato al gruppo sanguigno A, B o AB. Considerando che la naturale riduzione della sostanza grigia cerebrale tende ad intensificarsi con l'invecchiamento, è facile intuire, sottolineano gli autori, come ''questo svantaggio biologico possa rendere più esposti al declino cognitivo''. ''Lo studio sembra suggerire che le persone con gruppo sanguigno O siano più protette contro le malattie nelle quali si osserva la perdita di volume cerebrale temporale e mediotemporale, come accade ad esempio nella malattia di Alzheimer - spiega Annalena Venneri, direttrice scientifica dell'IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia e coautrice dello studio - tuttavia sono necessarie prove supplementari per esserne certi. Molto probabilmente il gruppo sanguigno influisce dunque sullo sviluppo del sistema nervoso centrale. Ora - conclude - dobbiamo capire perché e come questo accada".
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Il cervello non ha solo la celebre 'materia grigia', ma è composto anche di altre zone più interne, note come 'sostanza bianca'. Ed è proprio qui che è stato scoperto un possibile indicatore precoce per la malattia di Alzheimer. A dirlo è uno studio appena pubblicato su Radiology dai ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano, e finanziato dal ministero della Salute. "L'Alzheimer - spiega Federica Agosta, ricercatrice dell'Unità di Neuroimaging Quantitativo e co-autrice dello studio insieme a Francesca Caso - è una malattia della sostanza grigia, ma il danno alla sostanza bianca gioca un ruolo centrale nel determinare le modalità di comparsa e di progressione della malattia". Nello studio i ricercatori hanno analizzato la sostanza bianca di 53 pazienti affetti da tre tipi diversi di Alzheimer: quello ad esordio precoce e due varietà atipiche di Alzheimer giovanile, che colpiscono soltanto alcune parti del cervello. Grazie a una speciale tecnica di risonanza magnetica (DTI) hanno scoperto che "tutti i pazienti avevano un esteso danno alla sostanza bianca e presentavano danni regionali a carico della sostanza grigia. Ma il danno alla sostanza bianca nei pazienti con le varianti giovanili era molto più grave e diffuso del previsto e non spiegabile solo attraverso l'atrofia della sostanza grigia, più localizzata". Secondo i ricercatori, quindi, la scoperta "supporta l'ipotesi che l'Alzheimer 'viaggi' lungo le fibre della sostanza bianca, da una regione all'altra del cervello. Con la tecnica della DTI - conclude Massimo Filippi, direttore dell'Unità di Neuroimaging Quantitativo - si ha un'opportunità diagnostica importante perché nelle prime fasi dell'Alzheimer focale potrebbe non esserci un grave danno strutturale e dunque i pazienti rischiano di sfuggire alla diagnosi e di essere esclusi così dai trial clinici".