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Siria, l’Iran pronto a entrare in guerra

                                                                                                 di Piero Orteca

 La pentola a pressione siriana fischia a tutta forza e, continuando di questo passo, potrebbe esplodere da un momento all’altro. E non sarebbero certo solo i fagioli ad arrivare sulle cape di Obama e degli altri leader occidentali, ma anche tutto il resto della sbobba: in primis, qualche palata di peperoncino “habanero”, di quelli che non riesci a estinguere manco con l’idrante. Sì, perché la situazione geopolitica nella regione, in questi ultimi giorni, si mostra sul “complicato spinto”. La prima notizia è che Assad e le sue truppe perdono colpi. Il presidente siriano viene descritto come uno aggrappato al davanzale di una finestra, con un paio di ballerini di flamenco che gli zompano sulle dita. Insomma, è alla frutta. Anzi, all’amaro, subito prima che gli presentino il conto. La seconda novella è direttamente collegata alla prima e arriva dagli informatissimi analisti israeliani, i quali evidentemente vegliano, mentre gli altri ronfano. L’Iran, vista la piega presa dai combattimenti, sarebbe a un passo “to invoke defense pact”, cioè dall’invocare il patto di mutuo soccorso sottoscritto con Damasco, che obbliga il Paese a entrare in guerra. Direttamente. Si tratterebbe di una catastrofica decisione, che avrebbe, con un fragoroso effetto domino, serie ripercussioni sui fragili equilibri diplomatici della regione e manderebbe a ramengo tutti i disegni strategici di Obama, pazientemente (e temerariamente) perseguiti da alcuni anni. A Gerusalemme ne sono convinti e hanno già “avvisato” gli americani, che comunque dovrebbero essere già stati ruvidamente svegliati dagli urlacci di tutti gli ayatollah di questo mondo. I governativi e le milizie sciite di Hezbollah stanno “collassando” (è il termine usato dagli israeliani) sotto la spinta congiunta dell’Isis da un lato e degli altri rivoltosi sunniti dall’altro. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la conquista della città di Hasakeh (curdo-siriana) da parte dei “califfi”, che stanno collezionando bandierine a tutto spiano, dopo quelle piantate a Palmira e a Ramadi. L’Isis, che ormai pensa in grande e ha messo nel mirino anche i Balcani, ha sbaragliato la 52. divisione siriana e le milizie curde che difendevano Hasakeh. E gli attacchi aerei americani scatenati per bloccare i fondamentalisti? Acqua fresca. Stesso spartito a sud, dove direttori d’orchestra e musicanti di Assad sono scappati a gambe levate, abbandonando sul terreno violini, contrabassi e tromboni (si fa per dire), davanti alla marcia trionfale dei rivoltosi. I soldati governativi della 68. e della 13. divisione hanno infatti perso il controllo di Deraa, inducendo gli iraniani a riconsiderare a tiro di palla un loro ulteriore e massiccio intervento. In particolare, l’ammiraglio Alì Shamkhani (capo dell’Iran National Security Council) e il generale Qassem Soleimani (comandante delle operazioni di Teheran in Medio Oriente) hanno annunciato “novità clamorose” per i prossimi giorni. Gli esperti militari occidentali pensano che saranno unità delle Guardie Rivoluzionarie a invadere il nord della Siria per contrastare le forze dell’Isis e quelle degli altri rivoltosi. Finora le truppe degli ayatollah erano state utilizzate “ufficialmente” in combattimento (senza grandi successi, per la verità) nel nord dell’Irak, nel tentativo di riconquistare la grande raffineria di Baiji. Fonti israeliane rivelano che, all’inizio, gli obiettivi di Soleimani sarebbero quelli di riconquistare Palmira e Jisr al-Shoughur, quest’ultimo centro caduto nelle mani di una multicolore coalizione (Army of Conquest) sponsorizzata da Stati Uniti e Arabia Saudita. Così facendo gli iraniani sperano di alleggerire la pressione sulle autostrade che da Homs e Damasco portano fino a Latakia. Un’altra “esplosiva” novità riguarderebbe i missili di Hezbollah puntati contro Israele, che ora sarebbero girati verso l’Isis e gli altri rivoltosi siriani. Gli iraniani cominciano a pensare che, nominandoli proconsoli e “difensori della fede” (cioè degli interessi occidentali) in Irak, Obama gli abbia mollato un bel “pacco”. L’Isis non si cuoce, anzi sembra preso dai sette spiriti, e così anche gli ayatollah si trovano nei guai fino al collo, per non dire fino al turbante. Temono che i feroci sunniti dalle “bande nere” possano fare colpo a tre, cioè bingo, puntando su Damasco, Baghdad e sulla città santa sciita di Karbala. Per questo hanno emesso precise direttive, indirizzate all’amico Nasrallah, capo di Hezbollah: prepara i missili, perché i nemici pubblici numero uno, udite udite, non sono più gli israeliani, ma i “barbudos” dell’Isis. Occhio, perché non si parla mica di noccioline. Nel mazzo sono compresi i Fajr-5s (range 400-600 km); Zelzal-2s (range 500 km); i Fateh-110s (range 800 km); e addirittura gli Shaheen 2s (800-900 km. per gradire). La prima ondata riguarderebbe la bellezza di un migliaio di gingilli, da spedire direttamente sulle cape dei sunniti del “Califfo”. In tutto questo granguignolesco romanzo d’appendice nemmeno gli scafati ayatollah sono riusciti a capire dove Obama voglia andare a parare. Qualche malalingua suggerisce che forse non l’ha capito manco lui. Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, ha fatto una dichiarazione che sembra uscita da un cruciverba. Non si capisce il resto di niente. Gli americani appoggiano tutti e nessuno, vogliono la pace ma se costretti faranno la guerra, combattono l’Isis in Irak ma non spendono una parola sulla Siria, avrebbero dato carta bianca all’Iran (ma non si sa di che tipo…) e comunque, epitaffio che lascia tutti con un palmo di naso, dopo tante elucubrazioni verbali e raffinati endecasillabi, il senso finale è che domani è un altro giorno e chi vivrà vedrà. Sembra una discussione fatta al tavolo dell’osteria o uno scambio di battute fra pensionati su un autobus. Invece, rabbrividite, è l’Obama-pensiero attuale, cioè la filosofia di un comandante in capo che naviga a vista e si fida solo degli oroscopi che, a seconda dei chiari di luna, pescano i suoi “pappagalli-adviser” che formano lo sterminato esercito dei consiglieri (che non ne imbroccano una che sia una). Secondo gli israeliani, anche loro frastornati dai giri di valzer della Casa Bianca, bisogna concentrarsi solo sulle evidenze. E cioè che Assad annaspa, perchè i sauditi e gli altri emiri del Golfo, assieme ai turchi, hanno gettato sul tavolo un sacco e una sporta di dollari per raccogliere milizie sunnite “moderate” che cominciano a funzionare. Di questo passo il presidente potrebbe presto, molto presto, scappare all’estero per salvare la pellaccia. Hezbollah non può salvare Assad, perchè deve guardarsi le spalle in Libano. L’Arabia Saudita, infine, sta stringendo un cappio finanziario intorno ai capi di Hezbollah per prosciugare il rifornimento di risorse da destinare alla guerra. Gli iraniani risponderanno, in un modo o nell’altro. E così l’esportazione della democrazia vaticinata da una manica d’incapaci arriverà al suo inevitabile epilogo: una guerra mondiale, senza esclusione di colpi, tra sciiti e sunniti.

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