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Azzollini: Pd voterà sì
alla richiesta di arresto

Potrebbe essere messa a breve in calendario la data della discusssione sulla richiesta d'arresto per il senatore di Ncd Antonio Azzollini avanzata a Palazzo Madama dalla procura di Trani nell'ambito dell'inchiesta del crac della Divina Provvidenza. Il presidente della Giunta Dario Stefano (Sel) ha infatti convocato per oggi alle 14 l'ufficio di presidenza per calendarizzare il voto. Intanto la vicenda è sul tavolo del premier e il Pd voterà sì come conferma il presidente del partito Matteo Orfini. 

"Mi pare - dice Orfini - abbastanza evidente. Credo che di fronte a una richiesta del genere si debbano valutare le carte ma mi pare che sia inevitabile votare a favore dell'arresto".

Renzi valuta caso, no a difesa a oltranza

(di Cristina Ferrulli) Matteo Renzi non ha intenzione di tenere la contabilità di avvisi di garanzia e richieste di arresti che potrebbero mettere a rischio il Pd e la stabilità di governo. Ha dato mandato a Raffaele Cantone e, nel caso di Roma, ai vertici del Pd di rafforzare "l'opera di pulizia". Ma non vuole farsi distrarre da polemiche e inchieste. E così, davanti alla "tegola" Azzollini, ha fatto sapere ai suoi che la linea è sempre uguale: il Pd è garantista ma una richiesta d'arresto andrà valutata nel merito e, se ci sono elementi, il Pd voterà sì perchè su queste vicende "non vale il colore politico come dimostra il nostro sì all'arresto di Genovese". Il premier, a quanto si apprende, non ha avuto negli ultimi giorni un faccia a faccia con Angelino Alfano. Un chiarimento dopo i casi Castiglione e Azzolini ma soprattutto per capire la rotta di Ncd, sempre più in balia di divisioni e frizioni contrarie, con effetti che si ripercuotono sulle votazioni a Palazzo Madama. Il ministro dell'Interno, spiegano fonti di maggioranza, avrebbe dato garanzie di tenuta al premier che d'altra parte sembra più impegnato a cercare di ricompattare i dem in vista dell'avvio del voto sulla riforma della Scuola. Sui casi giudiziari, d'altra parte, il presidente del consiglio non ritiene di doversi consultare con l'alleato di governo. Su Giuseppe Castiglione Renzi stesso è stato chiarissimo nei giorni scorsi: "Siamo e restiamo garantisti, non chiediamo le dimissioni per un avviso di garanzia perchè crediamo nello stato di diritto". Altra faccenda è, invece, la richiesta d'arresto per il presidente della commissione Bilancio del Senato. La decisione spetterà alla giunta per le autorizzazioni ma la bussola del Pd sarà la valutazione nel merito. "Se ci sarà elementi che motivano la richiesta della magistratura, voteremo per l'arresto, non vanno sovrapposti i piani politici e quelli giudiziari", sostengono i renziani davanti alla levata di scudi degli alleati di Ncd stretti a difesa del loro senatore. Pur non strettamente legato all'inchiesta di Trani, è cominciato al vertice del Pd il lavoro per chiudere entro fine mese l'avvicendamento alle presidenze di commissione, previsto a metà mandato. Così come la prossima settimana dovrebbe risolversi la vicenda del capogruppo Pd alla Camera con l'elezione di Ettore Rosato. Il ricambio ai vertici delle commissioni serve a motivare deputati e senatori, che hanno dimostrato di credere nelle riforme del governo, e anche a mandare in archivio le larghe intese visto che, a quanto si apprende, Fi dovrà lasciare gli scranni delle presidenze di commissione. "I dati Inps dimostrano che le riforme servono, dobbiamo andare avanti tutta", è la spinta che Renzi dà ai suoi, fiducioso che i provvedimenti del governo avranno effetti positivi per "far tornare l'Italia ad essere leader". Per questo il metodo di governo non cambia: "Bisogna ascoltare tutti ma poi si deve decidere".

Il nodo dei numeri

In realtà, oltre il caso Azzollini, a preoccupare la maggioranza sono soprattutto i numeri del Senato. E non solo perché il governo è stato battuto altre due volte in Aula, sia pure senza conseguenze per il voto finale, su un testo come quello che introduce l'omicidio stradale.

Ma soprattutto per l'equilibrio precario che c'è ormai in alcune commissioni come la Lavoro dove il rapporto tra maggioranza e opposizione è di 13 a 13. E' vero che in Aula non è stata colpa delle assenze (come sulla scuola che mancavano i 3 di Ncd) ma di una "maggioranza trasversale" che ha detto no ad alcune misure del ddl che inasprisce le pene per i pirati della strada, ma i rapporti di forza esistenti in Parlamento, si afferma tra i Dem, "devono essere ripristinati in tutte le commissioni". Per diversi motivi, come quello che a inizio legislatura FI era nella maggioranza e che alcuni senatori di Gal si sono spostati all'opposizione, la geografia degliorganismi parlamentari ora è piuttosto complessa, a cominciare dagli Affari Costituzionali dove "non possono restare due esponenti di Gal". Per cui uno dei due, Mario Mauro o Giovanni Mauro, se ne deve andare. Problematica è anche la commissione Istruzione, dove il rapporto è di 15 a 11 a favore della maggioranza, con Mineo e Tocci ( entrambi del Pd) però contrari al Ddl scuola, e con il sottosegretario D'Onghia (rimasta con il governo nonostante l'uscita dei popolari dalla maggioranza) che dovrà essere sostituita da uno di maggioranza (o Naccarato o Davico) perché il precedente sostituto di Gal, Salvatore Di Maggio, ora è con i fittiani. In questi giorni la presidenza del Senato sarà chiamata a rimettere ordine nel puzzle delle commissioni visto che in altre due (Agricoltura e Industria) lo scarto tra i due fronti è di appena un voto. Per non parlare della Bilancio dove per ora la proporzione è di 13 a 10.

Ma, tornando ad Azzollini, ci sono due aspetti che agitano il Pd. La prima è che lui, in attesa che la Giunta si pronunciasse nel 2014, tenne sospeso il parere su Italicum e Jobs Act lasciando sulle spine il governo (li diede solo dopo il no ai magistrati). E non si vorrebbe che si ripetesse il bis con la Scuola o le altre riforme ora al Senato. La seconda, è il paragone che si fa con il 2008 quando l'Udeur dell'allora Guardasigilli Mastella, coinvolto in un' inchiesta giudiziaria con la moglie, non ottenendo solidarietà dal governo, votò contro la fiducia chiesta da Prodi.

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