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Europa, se ci sei
batti un colpo

                                                                                                   di Piero Orteca

 L o spirito europeo? Non si riesce a evocarlo manco coi tavolini a tre piedi. E i “padri fondatori” dell’Unione, quelli che si sono battuti con lealtà e sincera devozione per affermare i principi del federalismo, a quest’ora si staranno rigirando nella tomba. Non era certo questa l’Europa che avevano in mente. Un elefante zoppo, malato di burocrazia, pronto a barrire e a caricare ottusamente tutto quello che si muove, senza troppo costrutto. Forte con i deboli e debole con i forti. Incapace di avere una politica estera veramente comune, senza una strategia di difesa che possa fare a meno del mastice della Nato, con una Banca Centrale che non è una banca centrale, dove anche gli uscieri portano l’elmo col chiodo prussiano. Un gigante dai piedi di cartone costruito coi giornali vecchi, come certi carri allegorici del carnevale di Viareggio. Pronti a squagliarsi al primo acquazzone. Puntare l’indice contro le magagne di questo baraccone affollato di politicanti, funzionari assortiti, impiegati, maneggioni, esperti della qualunque e sbriga-faccende non significa rinnegare le nostre comuni radici. Anzi. Vuol dire cercare la vera Europa, amarla ed esigere che essa sia veramente una “patria dei popoli”, fatta per unirli e servirli e non uno stipendificio organizzato per opprimerli, assemblato in modo che a comandare siano sempre i più forti, i più prepotenti, quelli “che contano di più”. E per sgombrare il campo dagli strepiti dei soliti perbenisti in servizio permanente effettivo chiariamo subito una cosa: nell’Unione ci siamo e ci dobbiamo rimanere. L’euro è ormai la nostra moneta e ce la piangiamo, senza invocare catastrofiche “uscite”, anche se, a giudicare da come sono state stabilite le parità, sembra più il frutto delle brillanti pensate di una congrega di ragionieri diplomati alla scuola serale che una scelta fatta coi neuroni. Abbandonando l’euro, la pezza sarebbe peggiore, molto peggiore, del buco e poi, tenetevi forte, i tecnocrati che hanno studiato e introdotto la moneta unica erano così sicuri dei cavoli loro che nessuno ha mai pensato a codificare una procedura d’uscita. Il peccato originale dell’Unione è insito nella sua stessa nascita, nel modo in cui è stata costruita. Una comunità “del carbone e dell’acciaio” divenuta “mercato comune”, cioè una sovrastruttura tenuta assieme dagli interessi economici (a cominciare da quelli degli agricoltori francesi) e che solo alla fine diventa Europa politica, con un colpo di bacchetta magica. Come se uno cominciasse a vestirsi partendo dal cappello. E poi la corsa all’allargamento “forzato”, troppo veloce, perseguito (forse) con ingenua sottovalutazione degli effetti, ma che ha finito per mettere assieme un’armata brancaleone, incapace di mettersi d’accordo anche su che tipo di pasta calare a mezzogiorno. Figurarsi cercare l’intesa sui grandi temi: relazioni internazionali, accordi commerciali, politiche fiscali e di bilancio, immigrazione, fondi da destinare allo sviluppo. Alla squagliata della neve, dice il proverbio, si vedono i buchi. E noi ne abbiamo uno, che era piccolo, ma è diventato una voragine (la Grecia, che un giorno viene data per convalescente e il giorno dopo è già bell’e sistemata all’obitorio) e uno, che era grande all’inizio (l’immigrazione), che ora si avvia a diventare un buco nero, cioè un’emergenza da gli sviluppi potenzialmente catastrofici, che nessuno, passato il “punto del non ritorno”, sarà più in grado di gestire. Chiaro? Perché i principi vanno parametrati alla possibilità di osservarli, mettendoli in pratica. E dato che il fenomeno dei “rifugiati” non segue uno sviluppo geometrico, ma è fondamentalmente “non lineare” (oggi mille, domani 10 mila, l’anno prossimo un milione e via di questo passo) o si trova una soluzione “equa e solidale” (coinvolgendo a tutti i costi anche i furboni del Nord Europa) o i destini appaiono “traumatici”, per usare un eufemismo. Il problema è vecchio quanto il cucco. Già nel 2006 l’Unione aveva creato il Rapid Border Intervention Team che non è servito al resto di niente. Allora, però, c’era Gheddafi che apriva e chiudeva i rubinetti della disperazione. E siccome i francesi si abbuffavano a uranio, gas e petrolio, a loro il Colonnello libico stava più che bene. Anzi, Sarkozy lo riceveva all’Eliseo con tanti salamelecchi. Poi il registratore di cassa si è bloccato e i transalpini hanno deciso di fare della Libia una nuova colonia (assieme agli inglesi e ai brachettoni americani). I risultati sono sotto gli occhi di tutti. E ancora, credeteci non abbiamo visto niente. La chiave è il sistema che si sono inventati a Bruxelles, e che è stato furbescamente confezionato per scaricare su alcuni il peso che, ecumenicamente, avrebbero dovuto sopportare tutti quanti: il Regolamento di Dublino. Chi emigra sotto la spinta della guerra o per difendere la sua incolumità personale da un regime tirannico (quindi, in teoria, non per la ricerca di una migliore qualità economica della vita) può fare domanda d’asilo. Giusto. Però, fatta la legge e trovato l’inganno, è obbligato a fermarsi e a riempire le scartoffie “nel primo Paese d’arrivo”. Che, per chi giunge dall’Africa, è al 90% l’Italia. Insomma, gli altri soci europei l’hanno studiata bene e hanno pensato di maramaldeggiare, scaricando sulle nostre spalle oneri (assai) e onori (pochini). Tra l’altro, visto che ormai si gioca a “rubacompagno”, i rifugiati che scappano dai centri d’accoglienza italiani per cercare fortuna in altre nazioni, vemgono bloccati alle frontiere di Francia e Austria e rispediti, senza troppi scrupoli, da dove erano arrivati. Cioè, in Italia. Ci sarebbe il Trattato di Schengen sulla libera circolazione, ma loro non lo “applicano”, lo “interpretano”. In pratica, se ne fregano degli impegni presi con l’Unione e sbolognano i profughi agli italiani, manco fossero pacchi postali. E poi l’inglese Cameron su questa storia dell’Europa-pasta per la pizza ci ha vinto le elezioni. Stira di qua e stira di là, fino a quando non si vedono i buchi, tutto va bene. I regolamenti UE convengono? A posto, siamo tutti fratelli. Ci fanno perdere qualche centesimo? Male, perchè ogni popolo ha diritto alla “auto-determinazione”. Che non è la possibilità di scegliersi un mezzo a quattro ruote, ma la libertà di fare i propri porci comodi, come i francesi, che si sono calati la maschera e hanno scaraventato i sacri principi nel posto che secondo loro è più adatto all’uopo. Tirando poi lo sciacquone. “Ahi serva Italia di dolore ostello – diceva il sommo poeta – nave sanza nocchiere in gran tempesta/ non donna di province ma bordello!

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