La Grecia è sull’orlo del pignoramento e la sua politica finanziaria (si fa per dire), per qualcuno, a Bruxelles, sembra elaborata da una congrega di estimatori del lambrusco appena usciti dalla cantina sociale. Ma per noi la verità è un’altra, più semplice. Il premier Tsipras e il ministro dell’Economia Varoufakis non sono mica tonti: no, stanno solo giocando a poker. E continuano a rilanciare davanti al piatto (che piange) con un paio di scartine in mano. Tirano la corda sapendo che, in teoria, a nessuno conviene spezzarla, perché dietro la Grecia, in fila davanti all’ufficio fallimenti, ci sono altri Paesi dell’area-euro, Non pesti e sanguinanti come loro, ma alquanto ammaccati. I leader greci pensano che i loro interlocutori siano gli stessi beccaccioni che, nell’ultimo lustro, hanno bruciato nella voragine ellenica la bellezza di centinaia di miliardi di euro, riuscendo nell’epica impresa di peggiorare solo la situazione. Se prima degli “aiuti” (finiti in quali mani?) la Grecia era un carrozzone sbalestrato e con le gomme a terra, oggi è un pietoso catorcio, con le lamiere penzoloni, i copertoni tappati con la masticante e i parafanghi tenuti assieme con lo spago. Una pena! Fino a qualche mese fa il debito ellenico ammontava a 315 miliardi di euro, poi si sono persi i conti. Il malloppone era così suddiviso: 142 miliardi erano dovuti all’Efsf (il Fondo Europeo Salvastati), 68 a banche e privati (nonostante una sforbiciata unilaterale del 66% nel 2012), 53 a Paesi di Eurolandia (accordi interstatali), 27 alla Banca Centrale Europea e 25 al Fondo Monetario Internazionale. Syriza, il partito di sinistra al governo, ha annunciato che le rate in scadenza da giugno in poi non saranno rimborsate, perché non ci sono soldi. O, meglio, perché i tagli richiesti alla spesa pubblica si sono visti col binocolo. Non pagare è la scelta più facile, anche se, poi, rischi che ti facciano abbassare la saracinesca, ti pignorino quattro carabattole e ti buttino fuori dall’euro a pedate nel sedere. Le colpe sono di chi ha prestato soldi a vanvera e di chi (gli stessi greci) ha mangiato a quattro palmenti, senza preoccuparsi di quello che sarebbe successo l’indomani. Più in generale, la Grecia è lo specchio fedele di un’Unione Europea pensata e costruita a tavolino, nel chiuso dei palazzi, senza mettere il naso fuori dalla finestra. Il Varoufakis-pensiero è di una semplicità disarmante: ci avete tirato dentro questa gabbia di matti che è l’area-euro, dice, ma la Grecia non aveva i requisiti per entrarci. Nel senso, aggiungiamo noi, che i conti erano, per così dire, un poco addomesticati. E ora, urlano ad Atene, ci spremete come un tubetto di dentifricio perché vi siete accorti che la Grecia non è la Germania? E che quindi deve pagare “a vita” per raggiungere un virtuosismo finanziario che non ha mai avuto e che, diciamola tutta, non si è mai sognata di avere? L’Unione e l’euro sono stati fabbricati seguendo solo un progetto monetaristico, ultraliberista e con l’occhio strabicamente rivolto ai bilanci. E la moneta unica, oltre al danno la beffa, oggi, per essere salvata, esige da due neocomunisti o neo-progressisti, o (chiamateli come volete) “sinistri” di lungo corso, l’applicazione di politiche che farebbero rigirare pure Reagan nella tomba. Non c’è solo qualcosa di paradossale alla base di questa strategia, ma, nel caso specifico, ci sono anche molti aspetti tragicomici. Chiedere a Tsipras e Varoufakis di fare i “sacerdoti della parità di bilancio” è come chiedere a un vegetariano di calarsi, in un colpo solo, porcelli alla brace, capretti in salmì e buoi con tutte le corna. Qualcosa non quadra e qualcuno, a Bruxelles, ancora, fa finta di essere nell’altra stanza. Il premier greco si dichiara ottimista (e ti pareva…) sulla possibilità che il summit dei leader europei fissato per domani trovi finalmente un accordo che allontani il rischio default per il suo Paese. “Ci sarà una soluzione nel quadro delle regole Ue e della democrazia – dice l’atletico premier - che permetterà alla Grecia di tornare alla crescita”. E aggiunge: “Quelli che scommettono su scenari di crisi e terrore verrà dimostrato che sbagliano”. Speriamo lo dimostri lui per primo, sganciando i soldi che, per ora, gli viene difficile restituire, specie a quegli arpagoni del Fondo Monetario Internazionale che, foglio a quadretti in mano e lapis all’orecchio, la vincono per tre punti perfino al salumiere all’angolo. Il muscoloso (e muscolare) Varoufakis, dal canto suo, mischia, brillantemente, conti (in rosso), dolci endecasillabi e struggenti citazioni politico-democratiche, manco parlasse degli splendidi tramonti sull’Egeo al suono del sirtaki di Teodorakis. E invece parla solo di debiti, cambiali, “chiodi”, “farfalle” e sfonda-piedi finanziari, anche se pensa che tutto si aggiusterà. Verrebbe di mettere mano ai fazzoletti.
Gli ateniesi sempre più
terrorizzati
stanno prendendo
d’assalto le banche
per ritirare i depositi
L’opposizione di centro-destra (To Potami), dal canto suo, esclude un’uscita dall’euro. Intanto, quel furbone di Putin, prendendo la palla al balzo, ha fatto sapere di essere “pronto a offrire aiuto finanziario ai greci”. Un’altra sorpresa al veleno, che la diplomazia occidentale si è andata cercando, continuando a trattare i russi con la punta della scarpa. Ora, però, le chiacchiere stanno a zero e i greci, memori della filosofia del “chi si è guardato si è salvato” (non l’avrà detto Socrate ma funziona), stanno prendendo d’assalto bancomat e conti correnti, per un veloce trasferimento dei loro depositi nelle federe dei materassi. Forse gli endecasillabi di Tsipras e Varoufakis e le “assicurazioni” dei vari gallinacci di Bruxelles non funzionano, fatto sta che gli ateniesi si fidano più dei loro tremila anni di esperienza che dei tremila “specialisti” che vanno blaterando di economia. La BCE, per evitare che i risparmiatori greci si portino a casa pure le porte e gli sportelli delle banche dopo averli sradicati, sta provvedendo a “pompare” liquidità nel sistema ellenico, per quasi 2 miliardi di euro. Tutto a posto? Niente affatto. Perché, pompa di qua e pompa di là, non appena la “liquidità” arriva, i serbatoi delle banche vengono prosciugati, con le idrovore, dai correntisti sull’orlo di una crisi di nervi (scompare un miliardo di euro al giorno). L’economia è fatta di aspettative, questo lo andiamo ripetendo fin da quando Berta filava. E così, oggi, i poveri greci, che si aspettano il peggio, sono tutti affaccendati a riempire i materassi di euro, prima che il sistema faccia “boom” e ritorni la svalutatissima dracma. Sarà quello il segnale della svolta: i nipotini di Pericle, dopo avere stretto la cinghia per anni, si ritroveranno, finalmente, liberi. E con le pezze sul fondo dei pantaloni.
La Grecia è sull’orlo del pignoramento e la sua politica finanziaria (si fa per dire), per qualcuno, a Bruxelles, sembra elaborata da una congrega di estimatori del lambrusco appena usciti dalla cantina sociale. Ma per noi la verità è un’altra, più semplice. Il premier Tsipras e il ministro dell’Economia Varoufakis non sono mica tonti: no, stanno solo giocando a poker. E continuano a rilanciare davanti al piatto (che piange) con un paio di scartine in mano. Tirano la corda sapendo che, in teoria, a nessuno conviene spezzarla, perché dietro la Grecia, in fila davanti all’ufficio fallimenti, ci sono altri Paesi dell’area-euro, Non pesti e sanguinanti come loro, ma alquanto ammaccati. I leader greci pensano che i loro interlocutori siano gli stessi beccaccioni che, nell’ultimo lustro, hanno bruciato nella voragine ellenica la bellezza di centinaia di miliardi di euro, riuscendo nell’epica impresa di peggiorare solo la situazione. Se prima degli “aiuti” (finiti in quali mani?) la Grecia era un carrozzone sbalestrato e con le gomme a terra, oggi è un pietoso catorcio, con le lamiere penzoloni, i copertoni tappati con la masticante e i parafanghi tenuti assieme con lo spago. Una pena! Fino a qualche mese fa il debito ellenico ammontava a 315 miliardi di euro, poi si sono persi i conti. Il malloppone era così suddiviso: 142 miliardi erano dovuti all’Efsf (il Fondo Europeo Salvastati), 68 a banche e privati (nonostante una sforbiciata unilaterale del 66% nel 2012), 53 a Paesi di Eurolandia (accordi interstatali), 27 alla Banca Centrale Europea e 25 al Fondo Monetario Internazionale. Syriza, il partito di sinistra al governo, ha annunciato che le rate in scadenza da giugno in poi non saranno rimborsate, perché non ci sono soldi. O, meglio, perché i tagli richiesti alla spesa pubblica si sono visti col binocolo. Non pagare è la scelta più facile, anche se, poi, rischi che ti facciano abbassare la saracinesca, ti pignorino quattro carabattole e ti buttino fuori dall’euro a pedate nel sedere. Le colpe sono di chi ha prestato soldi a vanvera e di chi (gli stessi greci) ha mangiato a quattro palmenti, senza preoccuparsi di quello che sarebbe successo l’indomani. Più in generale, la Grecia è lo specchio fedele di un’Unione Europea pensata e costruita a tavolino, nel chiuso dei palazzi, senza mettere il naso fuori dalla finestra. Il Varoufakis-pensiero è di una semplicità disarmante: ci avete tirato dentro questa gabbia di matti che è l’area-euro, dice, ma la Grecia non aveva i requisiti per entrarci. Nel senso, aggiungiamo noi, che i conti erano, per così dire, un poco addomesticati. E ora, urlano ad Atene, ci spremete come un tubetto di dentifricio perché vi siete accorti che la Grecia non è la Germania? E che quindi deve pagare “a vita” per raggiungere un virtuosismo finanziario che non ha mai avuto e che, diciamola tutta, non si è mai sognata di avere? L’Unione e l’euro sono stati fabbricati seguendo solo un progetto monetaristico, ultraliberista e con l’occhio strabicamente rivolto ai bilanci. E la moneta unica, oltre al danno la beffa, oggi, per essere salvata, esige da due neocomunisti o neo-progressisti, o (chiamateli come volete) “sinistri” di lungo corso, l’applicazione di politiche che farebbero rigirare pure Reagan nella tomba. Non c’è solo qualcosa di paradossale alla base di questa strategia, ma, nel caso specifico, ci sono anche molti aspetti tragicomici. Chiedere a Tsipras e Varoufakis di fare i “sacerdoti della parità di bilancio” è come chiedere a un vegetariano di calarsi, in un colpo solo, porcelli alla brace, capretti in salmì e buoi con tutte le corna. Qualcosa non quadra e qualcuno, a Bruxelles, ancora, fa finta di essere nell’altra stanza. Il premier greco si dichiara ottimista (e ti pareva…) sulla possibilità che il summit dei leader europei fissato per domani trovi finalmente un accordo che allontani il rischio default per il suo Paese. “Ci sarà una soluzione nel quadro delle regole Ue e della democrazia – dice l’atletico premier - che permetterà alla Grecia di tornare alla crescita”. E aggiunge: “Quelli che scommettono su scenari di crisi e terrore verrà dimostrato che sbagliano”. Speriamo lo dimostri lui per primo, sganciando i soldi che, per ora, gli viene difficile restituire, specie a quegli arpagoni del Fondo Monetario Internazionale che, foglio a quadretti in mano e lapis all’orecchio, la vincono per tre punti perfino al salumiere all’angolo. Il muscoloso (e muscolare) Varoufakis, dal canto suo, mischia, brillantemente, conti (in rosso), dolci endecasillabi e struggenti citazioni politico-democratiche, manco parlasse degli splendidi tramonti sull’Egeo al suono del sirtaki di Teodorakis. E invece parla solo di debiti, cambiali, “chiodi”, “farfalle” e sfonda-piedi finanziari, anche se pensa che tutto si aggiusterà. Verrebbe di mettere mano ai fazzoletti.Gli ateniesi sempre piùterrorizzatistanno prendendod’assalto le bancheper ritirare i depositiL’opposizione di centro-destra (To Potami), dal canto suo, esclude un’uscita dall’euro. Intanto, quel furbone di Putin, prendendo la palla al balzo, ha fatto sapere di essere “pronto a offrire aiuto finanziario ai greci”. Un’altra sorpresa al veleno, che la diplomazia occidentale si è andata cercando, continuando a trattare i russi con la punta della scarpa. Ora, però, le chiacchiere stanno a zero e i greci, memori della filosofia del “chi si è guardato si è salvato” (non l’avrà detto Socrate ma funziona), stanno prendendo d’assalto bancomat e conti correnti, per un veloce trasferimento dei loro depositi nelle federe dei materassi. Forse gli endecasillabi di Tsipras e Varoufakis e le “assicurazioni” dei vari gallinacci di Bruxelles non funzionano, fatto sta che gli ateniesi si fidano più dei loro tremila anni di esperienza che dei tremila “specialisti” che vanno blaterando di economia. La BCE, per evitare che i risparmiatori greci si portino a casa pure le porte e gli sportelli delle banche dopo averli sradicati, sta provvedendo a “pompare” liquidità nel sistema ellenico, per quasi 2 miliardi di euro. Tutto a posto? Niente affatto. Perché, pompa di qua e pompa di là, non appena la “liquidità” arriva, i serbatoi delle banche vengono prosciugati, con le idrovore, dai correntisti sull’orlo di una crisi di nervi (scompare un miliardo di euro al giorno). L’economia è fatta di aspettative, questo lo andiamo ripetendo fin da quando Berta filava. E così, oggi, i poveri greci, che si aspettano il peggio, sono tutti affaccendati a riempire i materassi di euro, prima che il sistema faccia “boom” e ritorni la svalutatissima dracma. Sarà quello il segnale della svolta: i nipotini di Pericle, dopo avere stretto la cinghia per anni, si ritroveranno, finalmente, liberi. E con le pezze sul fondo dei pantaloni.