Lunedì 23 Dicembre 2024

Stato-Mafia:
diradare le ombre

Politica e magistratura devono fare ogni sforzo per diradare i punti oscuri della stagione delle stragi, dei grandi delitti di mafia compiuti tra il 1989 e il 1994, altrimenti il rischio è di non liberarci mai dal giogo del ricatto mafioso. A scriverlo sono, in due diversi libri di recentissima pubblicazione, un politico e un magistrato: Davide Mattiello, ex dirigente di Libera, parlamentare del Pd e componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia della Camera ne "L'onere della prova" e Nino Di Matteo, il magistrato più a rischio d'Italia, da anni impegnato nelle inchieste sulla trattativa tra Stato e mafia e sui rapporti tra istituzioni e criminalità organizzata in "Collusi", scritto a quattro mani con il giornalista Salvo Palazzolo. Due volumi usciti quasi in contemporanea - a distanza di soli pochi giorni - e che testimoniano come la visione di alcuni politici e di alcuni magistrati sia la stessa: è necessario fare chiarezza sulla storia recente d'Italia per dimostrare che un futuro diverso è possibile. Quella di Mattiello e di Di Matteo è una visione comune a partire da punti di vista diversi, ognuno per la propria parte. Per il politico Mattiello "viva e attuale è la responsabilità penale e politica di quei fatti, viva e attuale è la nostra responsabilità culturale di fare chiarezza". "Il giudizio storico e politico su quegli anni - ragiona Mattiello - non coincide con le risultanze giudiziarie, certo deve assumerle, ma ha una sua propria specificità e autonomia. Il che significa anche che non interferisce con l'attività in corso della magistratura, penso al processo sulla Trattativa o al Borsellino quater. Chiudere i conti col passato è un atto dovuto alle tante vittime e ai loro familiari, ma anche al Paese, a noi, e a chi verrà dopo di noi: perché quello che è successo in quegli anni non è stato soltanto la guerra della mafia contro lo Stato, ma è stato il più importante e tragico riordino degli assetti di potere dal secondo dopoguerra in Italia: quello che è successo in quegli anni è semplicemente il nostro presente". E Mattiello indica le due strade per farlo: riprendere il lavoro che fu fatto nella XVI legislatura, complice il ventennale delle stragi, dall'allora Commissione parlamentare Antimafia che svolse un lungo e approfondito esame su quei fatti a che non lo portò a votazione. Per il deputato quella relazione andrebbe ripresa, ridiscussa, eventualmente integrata e finalmente votata, formando, solo così, con il voto, oggetto di una decisione politica. Inoltre, suggerisce il deputato Pd, oggi la Commissione Antimafia dispone anche di un atto giudiziario "di straordinaria importanza, cristallizzato dalla Cassazione": la sentenza di condanna di Dell'Utri. "Sarebbe moralmente inspiegabile, disporre di un simile atto e non usarlo", osserva. Il magistrato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra dice cose non dissimili. "Resto convinto - scrive Di Matteo in Collusi - che se non si farà ogni sforzo per diradare i punti oscuri sulla stagione delle stragi, non ci libereremo mai dal giogo del ricatto mafioso. Ritengo che le indagini sul passato non siano solo doverose ma fondamentali per capire se mafia e potere istituzionale sono ancora oggi intrecciati in quei rapporti perversi che hanno alimentato il drammatico periodo del 1992-1993". Eppure Di Matteo rivela di sentirsi spesso solo in questa "battaglia": "continuo ad avvertire un fastidioso senso di diffidenza sull'utilità di queste indagini e di questi processi..persino qualche collega mi guarda come se fossi un magistrato in cerca di guai..". Del libro di Mattiello Di Matteo dice: "E' un testo molto interessante: partendo da atti della Commissione Antimafia sul periodo delle stragi, indica il percorso da seguire per non dimenticare quella stagione tragica ma indica soprattutto una strada alla politica che non può dimenticare quelle pagine oscure e ancora da approfondire". Entrambi evidenziano nei loro lavori come troppo spesso su Andreotti si sia trasmesso il messaggio di una sentenza che avrebbe sconfessato l'impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Palermo e scagionato l'impuntato eccellente dalle accuse di essere stato un punto di riferimento dei mafiosi. Ma non è così, osservano entrambi.

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