Lunedì 23 Dicembre 2024

Isis, massimo livello di allerta

 Come quei film gialli americani in cui uno sfacciato serial killer gioca a rimpiattino con la polizia, annunciando con sfrontatezza le sue prossime mosse, anche nel caso del terrorismo jihadista di ultima generazione la macabra sfida sembra ripetersi. Lo hanno scoperto gli analisti dei servizi segreti occidentali, andando a studiare i recenti clamorosi attentati dell’Isis. Dunque, si tratta di questo: il “Califfo” annuncia con tanto di “comunicato-stampa” quello che potrebbe succedere di terribile nell’immediato futuro. Ogni volta che parla Mohammed al-Adnani (no, non è uno iettatore, è solo il portavoce dell’Isis) dopo un paio di giorni si scatena l’inferno. A tiro di palla. Molti pensano che si possa trattare di messaggi cifrati lanciati via radio a cellule “dormienti” (mica tanto) in ascolto, che si attivano improvvisamente. Uno di questi comunicati di sguincio è stato letto lo scorso 18 giugno, primo giorno del mese santo islamico del Ramadan. Al-Adnani ha detto testualmente che in questo periodo “la guerra santa è dieci volte più obbligatoria che nel resto dell’anno” e che, di conseguenza, “chi muore per la jihad durante il Ramadan, verrà ricompensato da Allah dieci volte di più”. Detto fatto. Dopo un paio di giorni si sono avuti una decapitazione in Francia, la strage dei turisti in Tunisia, il massacro nella moschea di Kuwait City, l’assalto ai soldati egiziani in Sinai (quasi 80 morti) e gli attentati di Baidoa e Mogadiscio, in Somalia, con un numero imprecisato di vittime. Da allora, statene certi, i servizi segreti di mezzo mondo sono incollati con le orecchie alla radio per captare il prossimo funesto messaggio del portavoce Isis, onde attrezzarsi alla bisogna, innalzando i livelli di vigilanza. Anche se, questo lo capiscono tutti, andare a indovinare dove colpirà il “Califfo” è facile come fare un terno al lotto. Una cosa, però è sicura: fino a quando non finirà il Ramadan il rischio-attentati resta più alto che negli altri periodi dell’anno. Il fatto è che l’Isis sta vincendo alla grande la sua competizione del terrore coi cugini-nemici di al Qaida, ormai una “declining force”, una forza in declino, come la definiscono quelli che se n’intendono, cioè gli specialisti israeliani, che mettono in fila le scoppole subite ultimamente dai nipotini di bin Laden per colpa del “Califfo”. Certo, riuscire a capirci qualcosa è un’impresa, anche perché ogni tanto saltano fuori notizie tutte da verificare (come quella di un presunto attentato allo stesso “Califfo” organizzato dai suoi “amici”). L’Isis, dicono a Gerusalemme, ormai ha preso il posto di al Qaida in molte aree che erano chiaramente sotto il controllo di quest’ultima, forse con l’unica eccezione dello Yemen. Per il resto è stata una cocente disfatta per i jihadisti “storici”. A cominciare da Aqap (Al Qaida in the Arabian Peninsula), proseguendo con Aqim (Al Qaida in the Maghreb) e via di questo passo con Al Shaabab (Somalia), Jabhat al Nusra (Siria), Ansar Beit al-Maqdis o Wilayat Sinai (Egitto), le milizie di Derna e Sirte (Libia), Boko Haram (Nigeria) e molti altri gruppi nel Caucaso, nelle Filippine e nell’Afghanistan. Tutte queste unità si sono poste all’ombra della barba del “Califfo”, giurandogli fedeltà incondizionata. È una sorta di “guerra civile” interna all’Islam sunnita Ma le notizie più nefaste per al Qaida, in questo specie di bollettino di Caporetto, sono almeno tre: 1) al-Nusra che, fino all’altro giorno era il suo braccio armato in Siria e si confrontava con l’Isis ha cambiato (per la maggior parte) bandiera; 2) lo Stato Islamico cerca di rafforzarsi in Pakistan e Afghanistan, dove è già entrato in rotta di collisione con i talebani. Qualche settimana fa fonti dei Servizi occidentali hanno riportato notizie di scontri a fuoco (con diversi morti) tra i due gruppi nella provincia di Farah; 3) il presidente siriano Assad avrebbe fatto una bella pensata: perché non mettersi d’accordo addirittura col “Califfo”? Certo, guardandolo bene in faccia e senza voltarsi, se no una coltellata non te la leva nessuno. Gli americani dicono che gli attacchi aerei dei governativi siriani non sfiorano manco per niente le milizie islamiste di al-Baghdadi, mentre battono duro contro tutti gli altri. Potrebbe essere, azzarda qualcuno, una forma di “desistenza” che tende a garantire all’Isis il controllo dei confini siriani, cosa che stopperebbe l’arrivo di convogli di rifornimenti per tutti gli altri rivoltosi. Situazione sicuramente molto ingarbugliata, come si vede, che rende, però, conto e ragione del perché l’Isis stia ormai esondando come il Nilo in piena, mentre gli americani mettono pezze e raccolgono l’acqua col coppo. La schiacciante supremazia dell’Isis su al Qaida, tra le altre cose, significa che da ora in poi gli attentati terroristici saranno più numerosi, imprevedibili e, soprattutto, di un’efferatezza senza limiti. E così gli americani ora cominciano a fare il bilancio di una strategia desolatamente perdente. Da quando, l’anno scorso, il generale Allen fu spedito in Medio Oriente a coordinare la coalizione anti-Isis, la situazione sul campo è nettamente peggiorata. Uno dei primi obiettivi, spezzare la contiguità territoriale del “Califfato” tra Irak e Siria, è clamorosamente fallito. Perché, affermano gli analisti, quel tirchione di Obama, per risparmiare munizioni (e forse le critiche dei “buonisti”) ha lesinato gli attacchi aerei. I caccia americani arrivano, sganciano quattro bombe all’ingrosso e scompaiono dalla circolazione. Insomma, come dichiarano sfacciatamente gli stessi miliziani islamisti, “gli fanno un baffo”. C’è poi tutto il capitolo dei rifornimenti, a cominciare dai dollari. E anche qui si è fatto un buco nell’acqua. “Dabiq”, la rivista dell’Isis, riporta con grande evidenza un articolo in cui si rivela, corta e netta, la strategia di Abu Bakr al-Baghdadi: “Lo Stato Islamico ha miliardi di dollari stipati nelle banche, così gli basta attivare una sua filiale in Pakistan per comprarsi una bomba atomica di seconda mano, da ufficiali corrotti”. Grazie, aggiungiamo noi, a tutto il petrolio venduto di contrabbando. L’ultima riflessione riguarda l’ambiguità della Turchia, che gioca con quattro mazzi di carte e si nasconde gli assi nelle maniche. Erdogan bara. Molti dei rifornimenti in uomini e mezzi per l’Isis passano attraverso la frontiera turca, a volte Muro di Berlino e altre volte scolapasta. A comando. Un atteggiamento rischioso, che potrebbe anche far saltare il ticchio agli ombrosi ayatollah iraniani, con conseguenze catastrofiche.

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