Migranti: si mette male, anzi, malissimo. Per noi e per loro. Il problema di fondo è che nessuno parla chiaro. Molti politicanti svicolano, scaricano barile, chiedono aiuto indistintamente a tutti e a nessuno, si rivolgono, abbastanza all’ingrosso, all’Onu, all’Unione Europea, agli Stati Uniti, alle Organizzazioni non governative E poi prediche, prese di posizione estemporanee, solidarietà (occasionali) tanto al chilo, strumentalizzazioni assortite e criminali sbafatorie. Anche queste assortite. Per carità, qui nessuno ha la soluzione pronta per quella che giudichiamo “la madre di tutte le crisi”di questo spicchio di secolo. Ma non si può barare, non si può nascondere il sole con la rete, definendo “emergenza” quella che ormai è una conclamata crisi “strutturale”, di cui finora abbiamo visto solo la punta dell’iceberg. Onestà impone di raccontare i fatti, puri e duri che siano, tracciare gli sviluppi delle probabili evoluzioni, abbozzare qualche ipotesi, se non di soluzione almeno di gestione del fenomeno e, infine, lasciare alla coscienza di ognuno l’onere di contribuire a scelte “strategiche”. 1) Rifugiati non semplici migranti –Questo è l’anello-chiave della catena di Sant’Antonio che alimenta i flussi. Il Regolamento di Dublino è figlio dell’omonima Convenzione (1990) e disciplina la possibilità per i rifugiati (che fuggano quindi da regioni in guerra; questo esclude i migranti “economici”, quelli cioè che scappano per fame) di chiedere asilo politico nell’Unione Europea secondo le linee-guida stabilite dalla Convenzione di Ginevra (art. 1). Noi italiani abbiamo l’obbligo di accogliere questo tipo di migranti, lo abbiamo assunto mettendo le firme sotto i documenti di Ginevra e di Dublino. Punto. 2) La burocrazia – Le clausole più importanti prevedono che l’application non possa essere fatta in più di uno Stato membro, ma, soprattutto, che la domanda debba necessariamente essere presentata nello Stato d’ingresso. 3) Italia in prima linea –Qui casca l’asino. Il Paese “più in prima linea di tutti” è l’Italia, perché si trova a ridosso delle coste africane. Ci sarebbero anche i greci (che per ora hanno i loro cavoli amari), Malta (che svicola “perché è piccola”), l’isola di Cipro (costantemente ignorata) e la Spagna, che predica bene e razzola male, dato che quando gli salta il ticchio spara. Insomma, la cucurbitacea se la prende quasi per intero proprio l’Italia. 4) Procedure estenuanti – Le procedure di esame delle richieste di asilo sono farraginose (i richiedenti sono accettati anche senza documenti d’identità e l’iter per l’accertamento è tortuoso) e, quindi, lo Stato di prima accoglienza ha l’obbligo di gestire per anni la marea umana che gli arriva addosso. Anche perché il candidato all’asilo, se gli viene rifiutato lo “status” in prima istanza, può presentare appello. 5) I furbi e i “fessi”– I migranti che cercano (sfruttando il Trattato di Schengen) di entrare in altri Paesi europei, se beccati, vengono “respinti” senza troppe cerimonie e rispediti nel primo Stato che li ha accolti, cioè l’Italia. In questo caso la “libera circolazione” per alcuni non vale più (perché non gli conviene). 6) La crescita dei flussi – L’anno scorso sono entrati in Italia circa 170 mila profughi. È una cifra consistente, specie se paragonata ad altri numeri, ma non ancora catastrofica. Siamo però disorganizzati e ogni ulteriore aumento rischia di sbalestrare il carrozzone. Quando si parla di quote, gli “amici” dell’Unione Europea non puntano i piedi guardando all’esistente, ma mettono le mani avanti per il futuro. 7) I numeri –E qui andiamo al “core” di quest’articolo, che riguarda i numeri. Quelli reali e quelli spaventosamente ipotizzabili. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati monitora molto scrupolosamente le varie aree di crisi che rischiano di esplodere e di scatenare potenziali esodi biblici. Da poco è stato pubblicato il report relativo al 2014 (“Mundo en Guerra”), che è tutto un programma. Vengono anche abbozzate previsioni per il 2015, che, in ogni caso, dovranno fare i conti con gli sconquassi che si vanno verificando in Nord Africa, nel Sahel, in Medio Oriente e a ridosso del Golfo Persico. 8) L’algoritmo dell’esodo – È possibile prevedere quanti rifugiati si presenteranno nel 2016 sulle sponde del Mediterraneo? La risposta più ovvia è “no”. Il fenomeno è fondamentalmente “non lineare”, nel senso che viene influenzato da decine di fattori diversi che ne rendono ardua qualsiasi quantificazione. In fondo, complessità, imprevedibilità e ingovernabilità camminano a braccetto. Ma…ma è possibile costruire degli scenari ipotetici, basandosi su alcuni elementi intermedi che spesso fungono da “termometro”. Uno di questi è il “national displacement”, un indicatore che mappa i rifugiati che scappano, ma che ancora restano nello Stato di provenienza. 9) Internal Displacement – Questo parametro, dunque, è fondamentale per comprendere l’evoluzione dei flussi futuri e la possibilità che il “national” diventi “international”. E si diriga anche verso l’Italia. Le ultime notizie parlano di oltre 4 milioni di siriani in fuga e di 2 milioni e mezzo di sudanesi. Naturalmente la cifra cresce, e di molto, sommando tutta l’area di crisi di cui si parlava prima. Il problema vero si chiama Nigeria. 10) La bomba a orologeria nigeriana –Quasi 180 milioni di persone sedute sull’orlo del cratere di un vulcano che potrebbe esplodere da un giorno all’altro. Questa è la Nigeria, supergigante africano in continua fibrillazione per motivi etnici, sociali, economici e, soprattutto religiosi. È un Paese in guerra civile permanente, spaccato in due come se fosse stato tagliato con la lama di un coltello: a nord della linea immaginaria di demarcazione i residenti sono musulmani, a sud, invece, la popolazione è animista e cristiana. Nel mezzo ne stanno succedendo di tutti i colori, con attentati, uccisioni a casaccio, rapimenti, assalti alle chiese (ma anche a qualche moschea) e chi più ne ha più ne metta. Nel Paese si sono imposti i miliziani islamisti di Boko Haram, direttamente collegati al “Califfo”. Secondo l’Onu vi sono già 4 milioni di profughi nigeriani (internally displaced) che aumentano al ritmo di mezzo milione l’anno. In caso di guerra civile (evenienza non proprio remota) i rifugiati in arrivo attraverso la Libyan Trail (la pista che taglia mezza Africa e sbocca di fronte alla Sicilia) sarebbero una valanga. Non vi diciamo quanto per non farvi venire un colpo. 11) I possibili interventi – Terapie? Spendere di più in Africa in formazione, servizi e infrastrutture per “anticipare” i flussi. Occorre evitare le guerre, non fomentarle (tipo Libia, Siria, Irak e via discorrendo). Bisogna, insomma, dare una speranza di migliore qualità della vita ai cittadini dei Paesi in crisi, prima che diventino profughi. Poi occorre ristabilire la sicurezza delle frontiere e addestrare le polizie degli Stati interessati, i cui agenti sono pronti a chiudere tutte e due gli occhi, è il caso di dirlo, per un pugno di dollari. In caso contrario, i milioni di migranti in arrivo il Trattato di Dublino ce lo faranno ingoiare con tutta la copertina.
Trenta milioni
sono già in fuga
di Piero Orteca
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