
Gli ex boss del gruppo mafioso dei “Barcellonesi” stanno svelando i retroscena di due omicidi avvenuti nel 2009: l’uccisione di due malavitosi del calibro di Carmelo De Pasquale, avvenuta la sera del 15 gennaio di quell’anno nel quartiere Nasari di Barcellona e quella successiva del “rampante” Carmelo “Melo” Mazza, eliminato con una spietata azione militare fatta scattare, a notte inoltrata, il 27 marzo davanti all’ingresso di una palestra di Olivarella. Il prezioso apporto dei collaboratori di Giustizia, primi fra tutti i fratelli Carmelo e Francesco D’Amico, che stanno contribuendo ad aprire una breccia nel muro di una secolare omertà che da sempre ha caratterizzato l’ambiente criminale dei “Barcellonesi” e che spesso coinvolge anche le vittime che finiscono per diventare complici della mafia, starebbe consentendo agli inquirenti della Procura distrettuale antimafia di Messina di far luce su mandanti e dinamiche dei due efferati delitti che sarebbero stati eseguiti come se si trattasse di mere operazioni chirurgiche per frenare le velleità di due soggetti che tentavano di scalare ulteriormente la gerarchia della cosca mafiosa locale che, dopo la guerra degli anni Ottanta del secolo scorso non ha conosciuto divisioni. Nei due delitti, ognuno con ruoli diversi, sarebbero stati implicati sia Carmelo D’Amico che personalmente 15 giorni prima di essere arrestato per l’operazione antimafia “Pozzo” avrebbe sparato nel quartiere Nasari all’ex pastore Carmelo De Pasquale, che il fratello Francesco D’Amico. Quest’ultimo assieme al nuovo collaboratore di giustizia Franco Munafò, inteso Merenda, oltre a collaborare alla spedizione punitiva organizzata personalmente da Carmelo D’Amico contro Carmelo De Pasquale, avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco che la notte del successivo 27 marzo ha ucciso ad Olivarella - a seguito di una impressionante sequenza criminale registrata dal sistema di video sorveglianza - Carmelo “Melo” Mazza che aveva disatteso gli ordini impartiti dal braccio armato della mafia che, in quel momento, dopo l’arresto di Carmelo D’Amico, era passato al fratello Francesco. Sarebbe stato anche il coinvolgimento, almeno nei due delitti eccellenti, a persuadere il trentenne Franco Munafò al pentimento, così come avevano già fatto i suoi due capi, i fratelli Carmelo e Francesco D’Amico, che si sono succeduti al vertice dell’ala militare di “Cosa nostra Barcellonese”.
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