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Siria, accordo
tra Obama e Putin

                                                                                                 di Piero Orteca

 E’ proprio vero: fifa blu, confusione mentale e travasi di bile di fronte al nemico comune spesso fanno i miracoli. Questa volta quel che non ti aspetti è successo per “merito” (dipende dai punti di vista) del Califfo, al secolo Abu Bakr al-Baghdadi, che da un anno mena botte da orbi dall’Irak fino alla Siria, espandendo il suo verbo (e i suoi tagliatori di teste) a macchia d’olio. Dunque, fatti quattro conti senza sofisticatissimi computer, ma solo con lapis e quaderno, Obama finalmente ha trovato la quadratura del cerchio. E siccome non ci voleva l’orbo per indovinare la ventura, gli è venuta, meglio tardi che mai, una bella pensata: mettersi d’accordo con l’odiato Putin per fare la festa allo Stato Islamico. E l’Ucraina? Ai pesci. E la lotta, nobilissima e infiorettata di endecasillabi strappalacrime, contro Bashar al-Assad in Siria? Contrordine compagni, metteteci una pietra “etnea” di sopra. Per non parlare dell’accordo sul nucleare iraniano, blindato col cemento armato e sul quale il presidente Usa ha lanciato un avvertimento di sguincio ai rissosi repubblicani del Congresso. Se non passerà liscio come l’olio, sarà guerra. Insomma, ci siamo capiti. Questa volta la politica estera americana dai giri di valzer è passata a un frenetico tip-tap e manco la buonanima di Nostradamus forse riuscirebbe a pronosticare cosa si potrà ballare domani.Ergo, prendiamo i ponderosi tomi che illustrano le raffinatissime “teorie” sulle relazioni internazionali e utilizziamoli per “pareggiare” i tavolini che hanno una gamba più corta. Oggi le analisi più autorevoli (e affidabili) sulla foreign policy le fanno, in esclusiva, i think tank che godono di fonti di informazione di primissima mano. Perché gli scenari cambiano ogni mezza giornata, e chi esce per andare a prendere il sole rischia di affogare sotto un nubifragio. Allora, cerchiamo di capire meglio tutto l’intreccio gordiano che, in Medio Oriente, si agita dietro scenari solo apparentemente ben definiti. A noi l’hanno raccontata così. Zitti zitti e quatti quatti, per non sollevare scandali e maldicenze, nei giorni scorsi a Doha (Quatar) si sono incontrati il Segretario di Stato Usa John Kerry, il Ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov e, senti senti, il capo della diplomazia saudita Adel al-Jubeir. Erano presenti al meeting anche esponenti degli Emirati del Golfo, sull’orlo di una crisi di nervi dopo l’accordo raggiunto con Teheran sul programma atomico. Dicono gli esperti (israeliani) che quella del trattato con gli ayatollah era solo la scusa. Il vero piatto forte sul tavolo è stato l’assemblaggio di un fronte comune contro il terrorismo qaidista e, soprattutto, contro quello dello Stato Islamico. Kerry, con la benedizione di Obama, ha detto ai russi (come se nulla fosse) “scurdammoce o’ passato” e concentriamoci sulle ferite che ci sta infliggendo il Califfo. Capace di espandersi dalla Nigeria fino all’Asia Centrale e di mettere in crisi persino i Talebani. Fonti bene informate riferiscono che, a questo punto, il Ministro qatariota Khalid ben Mohamed al-Attiyah ha scaraventato sul tavolo una mappa della regione che va dall’Egitto fino all’Afghanistan, chiedendo perentorio: “Che dobbiamo fare?” Sì, perché come andiamo predicando da qualche anno, ormai i vari conflitti e le guerriglie locali si sono “saldati” in una macro-area di crisi. Così, dopo avere discusso per due giorni, la soluzione ideale è sembrata quella di imbarcarsi tutti sullo stesso caicco (americani, russi, persiani, sauditi, sciiti di qua e sunniti di là, yemeniti, siriani e turcomanni) per cercare di ghiacciare i bollenti spiriti del Califfo. Gli specialisti più informati hanno raccolto la soffiata giusta (il meeting doveva resta re segreto) e hanno appreso che gran ciambellano di tutto il contorto iter diplomatico è stato Youssef Ben Alaoui Ben Abdallah, Ministro degli Esteri dell’Oman, già mediatore di successo nell’affaire iraniano. Bene, siccome la lite è sempre per la coperta, mettendosi sotto i piedi quanto detto, promesso e fatto finora, gli americani hanno proposto a compare Putin uno scambio che metterà tutti d’accordo: in Siria resterà al potere, incollato col mastice, l’ex odiato presidente Assad, e nello Yemen tornerà il leader filo-Usa Abd Rabo Mansour Hadi, con buona pace degli ayatollah, che avevano finora sostenuto la rivolta sciita degli Houthi. Certo, avvertono gli specialisti, questi sono i piani, che bisognerà “handle with care”, maneggiare con cura, come si fa con gli scatoloni pieni di cristalleria di Boemia. Perché, viste le teste interessate, ci vuole poco a fare saltare il banco. Washington e Mosca dovranno garantire che gli sciiti, foraggiati da Teheran, non facciano danni nella Penisola Arabica, prendendo di mira le pipelines degli oleodotti. Dall’altro lato, gli iraniani e Putin sono interessati a una condizione inderogabile, e cioè che Assad continui a comandare come ha fatto finora. Insomma, abbiamo scherzato. Primavere Arabe e dabbenaggine occidentale hanno accesso un bel falò in Siria, che continua sciaguratamente a bruciare vite umane. Finora, per quello che si sa, almeno 240 mila. E ora i nemici di ieri sono diventati amiconi per colpa del Califfo, che ha fatto loro scatenare una sindrome peristaltica di quelle torrentizie. Anche neuronale. Naturalmente è stato interpellato in primis il “capataz” siriano, il quale, molto ovviamente, ha spedito il suo Ministro degli Esteri, Walid Moallem, a prendere ordini dai “patrons” persiani. Il polpettone diplomatico, confezionato da Kerry e Lavrov, benchè ingombrante, è stato fatto ingoiare, senza masticarlo, alla famiglia reale saudita, che ha dovuto abbozzare per risolvere la rivolta nello Yemen e per evitare di vedersi saltare in aria oleodotti e pompe di benzina, un giorno sì e l’altro pure, per colpa del terrorismo sciita. Pensate che a Riad si sono piegati al punto da ricevere l’inviato di Belzebù-Assad, il maggior generale Alì Mamlouk, direttore del Syrian National Security Bureau. Ad aspettarlo c’era il gran capo degli 007 sauditi in persona: il Ministro della Difesa (e principe reale) Mohammed Bin Salman. Chi ha assistito all’incontro parla della presenza di un “arbitro” russo, spedito con somma urgenza da Putin per smussare gli spigoli ed evitare che l’incontro finisse a piatti in faccia. Comunque, Obama e Putin, per ora, possono stare tranquilli. Gli interessi in gioco sono così formidabili che nessuno arriverà a mettere i bastoni tra le ruote di un carrozzone diplomatico che, sia pure incollato con lo scotch, ha cominciato a camminare. Pensate che (notizia sicura) i sauditi sono volati immediatamente ad Amman per spiegare al re di Giordania, Abdullah II, che deve “frenare” col suo sostegno ai ribelli anti-Assad e rivolgere tutte le sue armi, dagli aerei alle fionde, solo ed esclusivamente contro le milizie dell’Isis. Gran personaggio il Califfo. Crea all’Occidente rogne alte quanto l’Everest, ma a volte gli fa anche dei favori. Inaspettati. Questa volta ha terrorizzato a tal punto Obama da svegliarlo, coi sudori freddi e a via di incubi notturni. Tanto che il poveretto, non potendo più chiudere occhio, è andato a rifugiarsi nel letto grande. Dove lo aspettava Vladimir Vladimirovic Putin. Meglio per tutti.

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