di Paolo Cuomo
Dopo il miglior giocatore italiano, Danilo Gallinari, la palla a spicchi di “Gazzetta del Sud” passa nelle mani del più grande allenatore all time, che da un decennio è anche il numero 1 d’Europa, titolo che divide con Zelimir Obradovic.
Ettore Messina, 56 anni (a settembre), catanese di nascita, veneto di adozione e bolognese di consacrazione cestistica, è il coach dei due mondi. Dopo aver dominato con la Virtus e il Cska Mosca, guidato la Nazionale e “assaggiato” una prima volta la Nba, entrando nello staff dei Los Angeles Lakers, dall’estate 2014 è tornato negli Stati Uniti, voluto dalla squadra oggi di maggior fascino – i San Antonio Spurs – per ricoprire il ruolo di assistente del mitico Gregg Popovich, il più “europeo” dei coach d’oltre oceano.
Con gli Europei al via tra 20 giorni e le luci dei riflettori dello sport italiano pronte ad accendersi sugli uomini del ct Pianigiani, la partenza con Ettore Messina, che nelle sue analisi è sempre incisivo e mai scontato, è obbligata.
NAZIONALE
– L’Italia potrà arrivare alla finale di Lille, centrando così la qualificazione a Rio?
«Le aspettative sono tante e il gruppo ha molte potenzialità. Bisogna però avere rispetto delle avversarie: Francia, Spagna e Serbia sono forti e competitive e per gli azzurri, se facciamo una valutazione realistica, la finale è un traguardo difficile da raggiungere. I nostri migliori giocatori si ritrovano tutti insieme per la prima volta e ci vuole un po’ di tempo per raggiungere gli automatismi. Quindi un grande risultato sarebbe di sicuro la qualificazione al torneo preolimpico, cioé un piazzamento tra le prime sei».
– Il quartetto Nba per fare la differenza deve...
«Spesso ci vuole poco per ottenere il massimo, come un passaggio in più o un movimento difensivo ben fatto. È un gioco a incastri. Tanti azzurri danno il meglio con il pallone in mano, ma il pallone è uno solo. E sarà pure importante l’adattamento alla situazione di altri elementi cardine come Gentile e Hackett».
– L’atipicità, l’atletismo e le tante soluzioni tattiche saranno il nostro apriscatole o agli azzurri servirà altro?
«La versatilità è senz’altro la forza della Nazionale. Piccoli che sanno giocare vicino a canestro, lunghi che tirano da tre punti e sono difficili da marcare. L’assenza di un centro di peso? È un ritornello che sento spesso, ma la coppia Cervi-Cusin offrirà il necessario contributo di intensità e il settore dei “mezzi lunghi” è una garanzia».
– Mi dice i nomi di tre giocatori che agli Europei lei osserverà con grande interesse.
«Innanzitutto il centro serbo Nikola Milutinovic che abbiamo scelto al primo giro nell’ultimo draft (l’ex Partizan nella prossima stagione vestirà la maglia dell’Olympiacos ndc); poi Nikola Mirotic, ala della Spagna e dei Bulls, che è stato con me al Real Madrid ed al quale sono affezionato e, quindi, Tony Parker che non finisce mai di stupire e resta un giocatore fondamentale per San Antonio».
L’ESPERIENZA AGLI SPURS
– Com’è il bilancio dopo la prima stagione, impreziosita dall’emozione delle due vittorie da capo allenatore contro Indiana e Memphis?
«Estremamente positivo per l’ottimo inserimento, le responsabilità che mi sono state date, l’orgoglio di far parte di questo club così prestigioso. Tanti infortuni non ci hanno permesso di arrivare in alto, ma per il futuro sono rimasti atleti importanti e la ricostruzione che è stata avviata ha basi parecchio solide».
– Ecco, il futuro. Come si sussurra da tempo, la sostituzione della leggenda Popovich è il dolce finale che la attende, oppure per lei potrebbe anche esserci la panchina di un’altra franchigia (e già nello scorso aprile è stato tra gli autorevoli candidati per i Thunder di Durant).
«È una previsione benevola che, un giorno, possa prendere il posto di Popovich: non è infatti automatico che sia io il candidato alla sua sostituzione. “Pop” ha un contratto pluriennale e ci sono giocatori che hanno deciso di venire agli Spurs proprio perché ci sarà lui. Quindi l’argomento non si pone e, soprattutto, è fuori dal mio controllo. Se, invece, un altro club dovesse interessarsi a me, sarei pronto a discuterne con lo stesso coach e il gm Buford per individuare la soluzione migliore per tutti».
– Al suo ritorno negli States non ci sarà più Belinelli con cui parlare in bolognese...
«La perdita di Marco per noi è pesante. Dopo aver investito tanti soldi per le conferme di Duncan e Leonard e l’ingaggio di Aldridge, abbiamo fatto il massimo per proporgli un contratto di livello. Che, però, era economicamente distante da quello che gli ha offerto Sacramento e che lui ha fatto bene ad accettare. E con i Kings sono certo che continuerà a esprimere il suo talento».
ETTORE E LO... STRETTO
– In Texas ci sono da anni due giocatori che il Ponte sono riusciti a immaginarlo da vicino: Manu Ginobili, scoperto dalla Viola e che lei a Bologna ha lanciato verso l’epopea nella Nba e Matt Bonner, che nel 2003, appena uscito da Florida, nella prima partita in Serie A della Pallacanestro Messina contribuì a firmare l’incredibile vittoria sulla sua Benetton. Cominciamo dall’inarrivabile argentino...
«È difficile aggiungere qualcosa su un giocatore che quando smetterà andrà dritto nella “Hall of fame”; l’unico della storia, assieme a Bill Bradley, ad aver vinto l’anello Nba, la Coppa dei Campioni e l’oro alle Olimpiadi. Chi lo ricorda giovanissimo a Reggio Calabria, deve pensare che Manu è rimasto lo stesso. Uno sportivo con la testa sulle spalle, una “mosca bianca” in questo ambiente. Nonostante i quattro titoli con San Antonio, è sempre splendido e disponibile con compagni, tifosi e comuni appassionati. Ama la sua famiglia e 15 anni di grande carriera non l’hanno cambiato. Un vincente come pochi».
– Il primo ad essere felice della decisione dell’argentino di continuare a giocare mi pare sia lei...
«Proprio così, soprattutto per il rapporto che ci unisce. Però, sono convinto che sarà davvero l’ultima stagione. Quindi godiamocelo».
– E Bonner, che con le sue dieci stagioni consecutive è ormai una “bandiera” di San Antonio?
«Abbiamo fatto di tutto per tenerlo ancora con noi e ci siamo riusciti. Un lavoratore incredibile, un giocatore fondamentale per lo spogliatoio, molto legato all’esperienza di Messina di 12 anni fa. Ne abbiamo parlato spesso, ricorda tutto: partite, aneddoti, episodi, persone e luoghi».
– Ho letto la sua testimonianza nel bel libro di Gaetano Gebbia – suo vice nell’Italia che vinse l’argento agli Europei del 1997 – sulla vita e le opere di Vittorio Tracuzzi. Nel 2016 ricorrerà il trentesimo anniversario della scomparsa del genio di San Filippo del Mela: quanto è attuale la sua lezione cestistica?
«Tantissimo. Penso soprattutto all’intercambialità dei ruoli, alla velocità di esecuzione, alla capacità di sapersi passare la palla, alla zona 1-3-1 che fu il primo a proporre. Tracuzzi è stato un personaggio fondamentale per la mia formazione tecnica. La sua concezione del gioco, che poteva sembrare un po’ strampalata, si è invece rivelata quella di un precursore e di un grande maestro».
– Capo d’Orlando che brilla di nuovo in Serie A; Barcellona, Trapani, Agrigento e soprattutto la rinata Viola: il basket al Sud si conferma pieno di energie.
«In un periodo in cui le difficoltà non mancano, dal Sud arrivano segnali di vivacità. Penso ad esempio all’Agrigento di Ciani, riuscita ad arrivare a un passo dalla Serie A. Viva, quindi, la qualità delle idee a dimostrazione che i soldi non sempre sono tutto».
– Ma lei, diventato un cittadino del mondo, quanto si sente ancora siciliano?
«Il mio carattere, forse, è quello tipico della gente di questa terra alla quale è molto legata mia madre perché a Catania vivono sempre tanti nostri parenti e amici».
L'ITALIA E L’EUROPA
– Sassari scudetto è la splendida realtà, Milano l’eterna incompiuta, Reggio Emilia “made in Italy” la rivelazione: ma Ettore Messina nel futuro del basket tricolore cosa vede?
«Un confortante ribollire. Provando a non parlare solo di budget. Una società che in passato ha vinto tanto come la Virtus Bologna si sta consolidando, una piazza storica come Torino è appena tornata in A e proverà a compensare la perdita di Roma. E in A2 riecco Treviso, Siena, Fortitudo e Rieti in un bel tentativo di rinverdire i fasti del passato. Il basket rispecchia il Paese in cui viviamo, dove per il cambio di passo sono determinanti l’energia, il coraggio e la coesione. E se anche a livello politico si riuscisse a seguire la strada della solidarietà e del rispetto delle regole, ne beneficerebbero anche altri settori, a cominciare dallo sport».
– In Europa il livello tecnico ed economico è in una fase di crescita inarrestabile e lo dimostra il flusso continuo di atleti che varcano l’oceano e riescono anche a dominare. Ma due team che lei conosce bene, il Real Madrid campione di Eurolega e il Cska Mosca, quante partite potrebbero vincere nella Nba?
«Bella domanda. Dopo aver visto da vicino come si lavora nella Nba e confrontando l’aspetto tecnico, atletico e fisico, mi vien da dire che sarebbero in grado di giocarsela con gran parte delle 30 squadre. Però lo sforzo e l’intensità che richiedono 82 partite di regular season, alla lunga potrebbe farle apparire diverse da quelle che in realtà sono. Quindi, è soprattutto in alcune fasi della stagione, come all’inizio quando sono in calendario le amichevoli contro i club europei, che il divario diminuisce».
– E chiudiamo con la squadra che più le sta a cuore: il Milan...
«Dopo le delusioni degli ultimi anni, sono in un periodo sabbatico. Non voglio illudermi e aspetto i risultati. Certo, le vittoria nel “derby e mezzo” sono un buon inizio».
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La scheda
Ettore Messina è nato a Catania e compirà 56 anni il 30 settembre. Ha allenato Virtus Bologna, Benetton Treviso, Cska Mosca, Real Madrid e la Nazionale italiana. Ha fatto parte dello staff tecnico dei Los Angeles Lakers e dal 2014 è il vice di Gregg Popovich ai San Antonio Spurs.
Il palmares Tra Italia e Russia ha vinto tutto: quattro Euroleghe, una Coppa delle Coppe, una decina di scudetti, tre Vtb League e in azzurro l’argento agli Europei del 1997. È considerato, con Zelimir Obradovic, il miglior coach d’Europa.