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Tsipras alza
ancora il “piatto”

                                                                                                     di Piero Orteca

 A lexis Tsipras è un eccellente “gambler”, sembra uno di quei giocatori di poker che sbarcavano il lunario nei battelli a ruota, su e giù per il Mississippi. Non scherziamo. Il modo col quale sta gestendo la gravissima crisi “multidimensionale” della Grecia, economica, sociale e politica, è in un certo senso sorprendente. Dimostra che nello zainetto di ogni contestatore in servizio permanente effettivo (com’era lui), si può trovare l’anello col sigillo del vero leader. Finora Alexis ha saputo tirare la corda senza romperla. Ha messo con la testa nel sacco prima il Fondo Monetario Internazionale e poi Frau Merkel, che con le sue sturmtruppen finanziarie comanda a bacchetta quel che resta dell’Europa. Ora Tsipras si è anche dimesso, per cercare di salvarsi le terga in patria, dove i “duri e puri” della sinistra preferiscono arrostire sulle pire della fame, piuttosto che rinunciare ai sacri principi di Nonno Marx. Punti di vista. Ma già un segnale che avrebbe dovuto mettere in campana chi va a dormire col ritratto di Baffone (Stalin) sul capezzale del letto c’era stato: Tsipras con una “u-turn”, un’inversione ultra-spericolata, al tempo che fu, aveva preferito allearsi con i destrorsi (eurofobici) di Greci Indipendenti, piuttosto che darsi in pasto alle velleità iper-rivoluzionare dei sinistri-sinistri del KKE. Ora, però, che i nodi sono venuti al pettine, dopo l’accettazione semi-incondizionata delle amare ricette prescritte dalla Bundesbank (e da chi se no?) e spacciate per le accademiche pensate dei grandi figli di Trojka (Commissione UE, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), il clima tra i “revolucionarios perdidos” dell’Ellade si è fatto incandescente. E a chi preferiva prendere un muro di granito dritto in faccia, piuttosto che darla vinta al capitalismo più bieco, è parso meglio sciogliere tutti i poco solenni giuramenti e dare un bella pedata nelle costole a Syriza, partito di governo, e al resto della compagnia, cercando di far morire Sansone con tutti i filistei. Così 25 “sinistri-sinistri” hanno abbandonato il capitano (coraggioso) Tsipras e il suo malmesso caicco, centrifugato dai marosi della crisi, per formare un nuovo partito, Laiki Enotita (Unità Popolare), che sarà capeggiato dall’ex Ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis. Il quale avrebbe preferito lasciare tre quarti della Grecia al buio, sì, ma illuminata dalla fideistica adesione alle pagine del Capitale di Marx. Morti di fame e, per giunta, a brancolare nelle tenebre. Ma vuoi mettere “l’insostenibile leggerezza del martirio” per parafrasare (a capocchia) il grande Milan Kundera? A quanto pare né il mandibolare ex Ministro Varoufakis e nemmeno la speaker del Parlamento, Zoe Konstantopulou, pur ipercritici, se la sono sentita di saltare il fosso e di far fare (metaforicamente, s’intende) a Tsipras la fine che Bruto riservò a Cesare. Il problema è uno e uno solo: c’erano (per ora) alternative ai diktat imposti dalla Trojka ai greci? La risposta più seria è senz’altro “no”. Anziché far annegare il Paese in un mare di debiti e farlo uscire con tutte le ossa rotte (presenti e future) da un braccio di ferro privo di senso pratico, il giovane premier ha preferito abbozzare, e papparsi, in prospettiva, la bellezza di 86 miliardi di euro di aiuti, che consentiranno di poter respirare fino al prossimo duello coi banchieri e le istituzioni internazionali. Domani è un altro giorno, insomma. Frase trita e ritrita ma mai, come in questo momento, di indubbia efficacia. I quasi 50 deputati di Syriza che si sono astenuti o che hanno votato contro gli impegni da prendere per ottenere il prestito, evidentemente pen sano che l’ideologia debba avere il sopravvento sempre e comunque, anche a costo di mettersi il Paese sotto i piedi. Qualcuno, cotto a fuoco lento dai tizzoni dell’invidia, pensa pure di sbarazzarsi di Tsipras, troppo “cooperativo” e di successo per essere digerito da chi vede la lotta politica come un rotear di randelli, contro i nemici e contro gli “amici” divenuti troppo ingombranti. Ora, la crisi (quella politica) dovrà seguire delle tappe obbligate dalla liturgia istituzionale, fino alle probabilissime nuove elezioni, da tenersi, magari, il prossimo 20 settembre. Quelli chiamati a cercare di formare un nuovo governo (Nuova Democrazia di Vangelis Meimarakis), infatti, non solo non hanno manco lontanamente i numeri per una nuova maggioranza, ma sono anche invisi alla gran parte del Paese, perché sostenitori, a spada tratta e senza distinguo, delle draconiane misure imposte dai creditori ansiosi di non perdere il becco di un quattrino. E a proposito: chi ha prestato i soldi ai greci lo ha fatto allettato dai tassi d’interesse. Cioè, per specularci. E chi specula deve mettere in conto anche il rischio e la possibilità di perdere carrozza e cavallo. Se adesso la coalizione “de noantri” (banchieri, europeisti convinti, statisti senza né arte né parte, scrupolosi economisti attenti allo zero virgola, politicanti parolai e pure una buona percentuale di imbroglioni, grassatori e masnadieri) ha deciso di concedere un ulteriore credito alla Grecia, non è per “buon cuore”, ma è solo perché tutti pensano di poter recuperare questi di ora e quelli di prima. Insomma, c’è ancora margine per spremere i greci come il tubetto di un dentifricio. L’euro c’entra solo per il fatto che se salta il banco ad Atene, rischiano di saltare, come tanti tappi di champagne, a filiera, tutti gli altri sistemi che non vivono tempi migliori. Mettiamola cosanche perché fare nomi potrebbe guastare il pranzo domenicale a più d’uno. D’altro canto, come abbiamo già ripetuto, alternative credibili non ce ne sono. Una Grecia costretta ad uscire dalla trappola-euro (di questo purtroppo si tratta, se vogliamo chiamare le cose con nome e cognome) andrebbe incontro a un’implosione economica epocale e a un salto all’indietro di mezzo secolo. Chi parla di tornare alla dracma lo fa senza capire la differenza tra una cambiale e una banconota. Sotto questo cielo tutto è possibile, per carità. Ma, credeteci, la pezza sarebbe peggiore del buco. E di molto. Tsipras per ora tira a campare e spera di sfruttare le nuove probabili elezioni come un trampolino per la sua definitiva consacrazione come leader. Stando però bene attento a non fare un salto in una piscina senz’acqua. Solo un mese fa il 60% dei suoi compatrioti ha votato contro gli accordi con la Trojka. Poi, forse qualcuno gli ha fatto capire che, in uno scontro frontale, è sempre meglio avere due feriti che un morto sicuro. E dato che non ci vuole l’orbo per indovinare la ventura, molti greci hanno pensato che a lasciarci le penne sarebbe stato proprio il loro Paese. Quindi, gli umori sono miracolosamente cambiati. Intendiamoci, la rabbia resta e si taglia col coltello. Ma alla fin fine, in molti pensano che sia meglio votare per un giocatore di poker squattrinato ma vincente, come Tsipras, piuttosto che per quattro gallinacci che hanno portato la Grecia nell’abisso e per altri quattro intellettuali, ostriche e champagne, che vorrebbero che ci restasse, come scorciatoia per la rivoluzione. Del piffero.

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