Mercoledì 06 Novembre 2024

Scatole... cinesi
Le Borse tutte a picco

 Il mese d’agosto, dati alla mano, è poco propizio ai mercati finanziari. Anche quest’anno tuoni, fulmini e una pioggia di vendite che ha fatto naufragare, in un paio di giorni, la speranza di una veloce ripartenza dell’economia mondiale. In fumo montagne di quattrini, solo ieri 411 miliardi di euro, come non accadeva da tempo. Tre gli elementi della tempesta perfetta: il rallentamento dell’economia cinese e la conseguente svalutazione dello yuan, il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime, la prospettiva di un innalzamento dei tassi d’i n t eresse americani. Che il tempo stesse volgendo al peggio lo si è compreso allorquando il Governo di Pechino ha svalutato la moneta. La decisione è diventata, infatti, la prova che il gigante asiatico non riesce a stare sulle proprie gambe e che non è più in grado di trainare, col massiccio acquisto di c o m m odity, le economie dei paesi esportatori. Ecco spiegata anche la discesa supersonica del prezzo del greggio che, conseguenza della... debolezza cinese, si è trasformata in concausa del profondo rosso dei listini di tutto il mondo. Qual è il timore? Che i paesi produttori, quelli Opec in testa, notoriamente buoni spenditori, tirino i remi in barca. Sarà pure un circolo vizioso ma l’economia finanziaria, piaccia o non piaccia, “viaggia” fin troppo sulle aspettative e sui rumors, spesso subdolamente veicolati. Inutile poi dare, in questo contesto, troppo peso all’a umento dei tassi negli Stati Uniti, previsto in autunno: male che vada qualche decimale di punto. C’è una domanda, invece, che vale la pena porsi. È l’ini - zio di un lungo sconvolgimento economico, come nel 2008 quando fallì la banca americana Lehman Brothers? Impossibile fare previsioni, qualche riflessione sì. La Cina non corre a velocità sostenuta, tuttavia non si è fermata. A fronte di un leggero calo dell’export, crescono la spesa per consumi reali, la massa monetaria in circolazione, i prezzi degli immobili e il credito bancario. La grande fabbrica del mondo, in buona sostanza, produce un po’ meno per i mercati esteri a tutto vantaggio dei propri consumatori. La leggera svalutazione della moneta cinese, poi, dovrebbe essere funzionale a mantenere le esportazioni su livelli costanti, senza scatenare una guerra delle valute che finirebbe col danneggiare tutti i protagonisti della scena. Il governo di Pechino è consapevole di non potere tirare troppo la corda, per non provocare tensioni con i propri partner commerciali. Ottimismo di maniera per esorcizzare il pericolo di una grossa bolla pronta a esplodere, con effetti devastanti? No. Un’analisi del Credit Suisse indica una crescita del Pil cinese superiore al previsto, trainato dalla domanda interna: 7,1% per il 2015 e 7,3% per il 2016, rispetto a una stima rispettivamente del 6,9% e del 6,7%. Non manca comunque qualche rischio sistemico, sottolinea la banca, ma risulta più che bilanciato da una congiuntura complessivamente buona. A cominciare da un petrolio a buon mercato, che non mette poi tanto in pericolo i forzieri strapieni dei paesi produttori ed è una potente spinta per l’economia europea. Scommettiamo che si è trattato di un temporale estivo, nulla di più?

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