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La Siria e il segreto… di Pulcinella

                                                                                                   di Piero Orteca

 A Napoli hanno un’espressione che la dice lunga sulla realtà delle cose che non si dovrebbero sapere, e che invece sanno già tutti: il segreto di Pulcinella. Gli strepiti e gli starnazzi “diplomatici” di questi giorni, sulla presunta “in - vasione” russa della Siria fanno parte di questo gioco delle parti. Si fa finta di stracciarsi le vesti dopo che ci si è messi d’accordo anche su che tipo di pasta calare a mezzogiorno. Ci (e vi) spieghiamo. Chi segue con attenzione le vicende mediorientali sa che Mosca non ha mai mollato la presa e che, anzi, negli ultimi due anni, l’ha stretta ancora di più. Tutto questi è avvenuto di pari passo con le maccheronate e gli zig-zag senza molta logica che hanno contrassegnato la politica estera americana. Abbiamo scritto in tempi non sospetti che la “foreign policy” della Casa Bianca è dettata da un guazzabuglio di consiglieri (circa…tre - mila) che hanno portato Obama sull’orlo di una crisi di nervi. Il brillante (in politica interna) presidente si ritrova quotidianamente sulla scrivania un catafascio di “report”, che dicono tutto e il contrario di tutto. E lui deve scegliere il bussolotto giusto. Per lui e per noi. In pratica, i suoi adviser sono divisi in scuole di pensiero, che predicano dottrine diverse se non contrapposte. In questo momento è “vincente”, a dispetto delle apparenze, quella che sostiene la cooperazione con l’Iran, con Putin e…con Assad. Sottobanco, è chiaro, per non scandalizzare i gallinacci di turno, capaci di vedere il mondo solo in bianco e nero, ignorando tutte le sfumature. Obama sa che il nemico pubblico numero uno è l’estremismo islamico, a cominciare dai tagliagole dell’Isis. Se il “Califfo”, Abu Bakr al-Baghdadi, riuscisse (sta già succedendo) a unificare tutte le centrali del terrore, cooptando anche quel che resta di al Qaida, per l’Occidente sarebbero cavoli amari. E anche per la Russia e per i sunniti moderati, senza dimenticare i contraccolpi sull’universo sciita (Iran in testa). Per cui, calma e gesso. Esiste una diplomazia ufficiale, “mediatica”, dove si recitano le parti in commedia, anche se qualcuno si fa prendere troppo la mano e rischia di straparlare (i bacchettoni francesi, al solito, ma anche gli inglesi); ed esiste una diplomazia “parallela”, fatta nel chiuso delle stanze, dove si conciliano gli interessi di tutti e si cerca un approccio cooperativo, che guardi alla sostanza delle cose. Poi, naturalmente, ma è nella natura umana, qualcuno può essere tentato di approfittarne. E allora ci si parla, per ramazzare la polvere sollevata e riporla di nuovo sotto il tappeto. Ergo: in Siria non rischiamo la terza guerra mondiale (quella è già scoppiata nelle Borse e nelle Banche centrali), ma dobbiamo stare attenti a calibrare mosse e contromosse con gli occasionali alleati. Come i russi. Ma andiamo ai fatti, e rinfreschiamo la memoria a quelli che ce l’hanno corta o che, a corto di “soffiate”, brancolano nel buio più assoluto. Finora i russi avevano spedito in Siria carriolate di “military advisers”, cioè “consiglieri militari”, formula che in pratica copre di tutto e di più: dai magazzinieri ai tecnici esperti di guerra elettronica, dai piloti istruttori agli specialisti di missilistica. Sotto questo sole niente di nuovo, perché anche gli americani (e non solo) hanno fatto lo stesso. Semmai, vista la piega presa dagli avvenimenti, la verà novità è lo sbarco di centinaia di “mari - nes” di Mosca, arrivati a Latakia (già base della flotta russa quando Berta filava) con degli hovercraft della classe Zubr, i più grandi del mondo. Il che significa che Putin prende molto sul serio gli accordi raggiunti dal Segretario di Stato, Kerry, per conto e per nome di Obama. Ma quale stupore, ma quale mossa a sorpresa. Era tutto quanto programmato nei minimi dettagli, negli incontri (da noi già riportati con dovizia di particolari) tenutisi il mese scorso in Qatar. Punto. Tanto è vero che Putin non ha fatto una piega la scorsa settimana, quando anche i gatti hanno saputo la notizia dell’ar - mata giordana (addestrata dagli Stati Uniti) pronta a entrare in azione nel sud-est della Siria. Ricapitoliamo. Il build-up, l’esca - lation, la presenza (chiamatela come meglio vi pare) dei russi dalle parti di Damasco è il secondo tempo di un copione già scritto. Lo scorso giugno, il piano di contenimento del “Califfo”, che prevede un nuovo e più attivo ruolo per la Giordania, è stato concordato tra i due re di Arabia Saudita e di Giordania, Salman e Abdullah, con la benedizione di Barack Obama. È stato il Segretario di Stato John Kerry, qualche giorno fa, a risuscitate l’at - tenzione dei media sull’intesa tra sunniti moderati. Detto fatto. I “rumors” descrivono già le prime azioni hashemite nel nord-ovest dell’Irak, contro i santuari dell’Isis, che si sarebbero svolte grazie a forze speciali impiegate ad Ar Rutbah, 400 chilometri a ovest di Baghdad. Le unità avrebbero agito sotto la direzione dell’US Central Command-Forward-Jordan, che riunisce ufficiali americani, giordani, sauditi, qatarioti e, senti senti, anche israeliani. Gli Usa forniscono i dati di “intelligence”, gli israeliani la copertura aerea e i sauditi…. pagano. Le notizie più eclatanti sono due: per la prima volta forze di terra giordane sono impiegate contro l’Isis e la seconda, altrettanto importante, è che gli israeliani combattono, da alleati, con coloro i quali, pochi anni fa, volevano distruggerli. Ora arrivano anche i russi, come previsto dal copione che sembra made in Hollywood. L’importante è che qualcuno lo spieghi anche ai francesi che, come al tempo di Capitan Fracassa Sarkozy, non vedono l’ora di rompere la cristalleria di Boemia, Cioè di continuare a fare della Siria carne di porco, come hanno già fatto in Libia. Più in dettaglio, i Servizi occidentali, hanno già segnalato il passaggio dal Bosforo e l’ingresso nel Mediterraneo della nave da sbarco Nikolay Filchenkov, che imbarca l’810. Separate Marine Brigade russa. La nave è carica di mezzi corazzati (BTR-82A) e di pesanti camion da trasporto truppe Kam-AZ 6560. Altre 10 navi da guerra di Putin sono dirette verso le coste siriane. A bordo ci sarebbe la 336. Brigata della Guardia “Byalistok”, in arrivo dal Baltico. Entrambe queste unità pare che abbiano combattuto a sostegno dei separatisti ucraini. Comunque sia, dicono gli israeliani, a parte gli accordi anti-Isis con gli Usa, la presenza russa segue una precisa richiesta d’aiuto avanzata a fine giugno dal Ministro degli Esteri siriano, Walid Moallem. In quella data è sta costituita una speciale commissione militare mista, forse per tamponare i rovesci sul campo dei “consiglie - ri” iraniani e delle milizie sciite di Hezbollah. Per organizzare tutto per benino, I russi hanno trasformato l’aeroporto di Jablah (vicino Latakia) in una grande base militare da appoggio logistico, facendo poi atterrare a Mezze i giganteschi Antonov 124 (nome in codice Condor) scortati dai modernissimi caccia MiG 31 “Fo - xhound”. Putin ha portato in dono ad Assad un migliaio di micidiali “Kornet-9M133”, missili anticarro. Sbarcati anche, per la prima volta, gli aerei senza pilota “Pchela” (in codice “Ape”), destinati a monitorare il campo di battaglia in un raggio di 60 chilometri. Secondo Gerusalemme, l’apparizione dei “drone” significa che, presto e in qualche modo, truppe di terra di Mosca interverranno nel conflitto. Forse, addirittura, per impedire la caduta di Damasco, dove l’Isis guadagna terreno.

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