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«Non fu Merlino ad
uccidere Beppe Alfano»

                                                                                                 di Nuccio Anselmo

Una nuova conferma. Il fratello che segue il fratello: ad uccidere il povero Beppe Alfano l’8 gennaio del 1993 a Barcellona non sarebbe stato Antonino Merlino, ma un altro killer. Ed è la seconda volta che qualcuno lo dice in un verbale. Stavolta la rivelazione arriva dal collaboratore di giustizia Francesco D’Amico, fratello del boss Carmelo, ex capo dell’ala militare di Cosa nostra barcellonese e seduto ai vertici della famiglia per lungo tempo, anch’egli pentito e autore di rivelazioni di primissimo piano nei mesi scorsi. Ecco una della clamorose rivelazioni “top secret” che emergono dalla ragnatela delle “cose mafiose” barcellonesi, in uno dei tanti verbali che Francesco D’Amico ha riempito in questi mesi nel più assoluto riserbo davanti ai due magistrati della Dda di Messina Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, i pm che ormai da parecchi anni insieme al procuratore capo Guido Lo Forte hanno riscritto la storia mafiosa della famiglia tirrenica e nebroidea, basti pensare alle cinque fondamentali puntate dell’operazione “Gotha”. Il valore di questa rivelazione – lo stesso Carmelo D’Amico lo aveva detto ai magistrati alcuni mesi addietro –, è di primaria importanza per un fatto ben preciso. Quello che racconta Francesco D’Amico lo ha appreso infatti non soltanto dal fratello, che per lungo tempo è stato al vertice della famiglia insieme ai vari Rao, Di Salvo e Isgrò, ma anche da altri appartenenti a Cosa nostra barcellonese, che gli avrebbero rivelato anche altri particolari fino ad oggi inediti per magistrati e investigatori su contesto, mandanti ed esecutori dell’uccisione del giornalista. Un altro tassello che si aggiunge alla verità sulla morte di Alfano, e può fare luce su un’esecuzione che necessita probabilmente di una nuova lettura, non soltanto processuale

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