Dalla Cina con passione e con la solita grinta. Roberta Vinci è sempre al top. Dopo la vittoria leggendaria agli Us Open contro Serena Williams, la finale di un Major persa con l'amica di una vita Flavia Pennetta, le tante istantanee che entrano vibrando nell'anima e un ritorno in Italia caratterizzato da stordenti testimonianze d'affetto e una esposizione televisiva da star dello spettacolo, la 32enne tarantina è volata in Asia per un paio di importanti appuntamenti che stanno segnando il suo rientro nei tornei. E a Wuhan, a mille km da Pechino, tra un match e un allenamento, la tennista azzurra ha risposto con il suo calore tutto meridionale alle domande di "Gazzetta del Sud".
– Roberta, la ripartenza dalla Cina è avvenuta con un carico di entusiasmo in più e dopo aver “lottato” contro una straordinaria (ma piacevole) offensiva mediatica che per una decina di giorni l’ha travolta. Forse era stato più facile stendere Serena...
«Sono state due settimane durissime, indimenticabili, gratificanti. Tutti mi cercavano e non mi sono mai fermata per partecipare a eventi e feste in mio onore. Come avviene in campo, ho dato sempre il massimo perché anche queste sono soddisfazioni eccezionali. Qui in Cina è stato, quindi, più difficile riprendere confidenza con l’agonismo, ma le affermazioni su Kovinic e poi Begu mi hanno già garantito l’energia necessaria».
– Sulla finale di New York, lei ha già detto tanto. Ma un po’ di rammarico non le è rimasto per non aver completato il capolavoro?
«Ovvio, il rammarico ancora c’è ed è grande. Ma sono arrivata in finale esausta, perché per battere Serena Williams la fatica è stata enorme. La benzina in corpo era totalmente finita, soprattutto mi sono sentita molto scarica mentalmente. Nella notte che ha preceduto la finale, dopo una lunga serie di interviste e incontri, non ho quasi chiuso occhio. Insomma sono scesa in campo troppo stanca».
– L’urlo «ora applaudite anche me» dopo il punto del 40 pari sul 3-3 del terzo set e lei che si porta le mani alle orecchie per sentire finalmente il tifo degli americani, sono due immagini che hanno fatto il giro del mondo, diventando un fenomeno virale. Anche queste – come le decisive demi-volée – faranno per sempre parte della favola.
«Ho rivisto e hanno fatto rivedere quel punto centinaia, migliaia di volte. È stato fantastico! E la reazione mi è venuta dal cuore. Per questo alla fine mi hanno apprezzato e applaudito. Certamente l’Us Open 2015 rimarrà nella storia per il sogno infranto di Serena e anche per i due colpi in demi-volée».
– Roberta Vinci come Stan Wawrinka, il tennista capace di interrompere in questa stagione la corsa verso il Grande Slam dell’imbattibile Nole Djokovic. Le piace l’accostamento con lo svizzero?
«Mi piacciono, se devo essere sincera, altri giocatori, ma ovviamente io e Wawrinka abbiamo battuto gli indiscussi numeri 1 e quindi aver centrato l’impresa insieme ad un altro campione mi rende davvero orgogliosa».
– Con la Pennetta ha parlato di recente? Quella confidenziale chiacchierata tra due sorelle sulle sedie dell’Artur Ashe resterà uno dei momenti più belli che lo sport ci ha regalato negli ultimi tempi.
«Sì, con Flavia ci siamo sentite, ripercorrendo tutte le emozioni che stiamo ancora vivendo. La finale e ciò che l’ha caratterizzata, prima e dopo, hanno rappresentato un momento molto significativo per l'Italia e per tutto lo sport che lotta e si sacrifica. E, alla fine, anche la grande sportività nell'accettare la sconfitta».
– Ma lei qualcosa di clamoroso lo aveva già realizzato, completando assieme a Sara Errani il Career Grande Slam di doppio, quinta coppia in assoluto a vincere più Major (5) nella storia del tennis femminile. Ripensando a quei trionfi, quanto le piacerebbe che il formidabile duo tornasse insieme, magari a Rio?
«Io e Sara abbiamo scritto la storia e la stessa cosa, per noi, sta avvenendo a livello individuale. Tornare a giocare in doppio? Si vedrà. Oggi abbiamo altri pensieri e obiettivi».
– Roberta Vinci e la Sicilia, terra meravigliosa che l’ha adottata. Quanta spinta le ha dato Palermo, con il suo calore e la sua generosità?
«Vivo a Palermo da anni e mi trovo benissimo. La città mi trasmette affetto, con le persone mi sono trovata subito alla grande. Basti pensare all’accoglienza che ho ricevuto appena atterrata a Palermo, di ritorno da New York. Ed al Country, il circolo dove mi alleno, la festa organizzata per me da Oliviero Palma è stata magnifica. A questa splendida “famiglia” va ancora il mio grazie».
– Quanto è stato importante Francesco Cinà nella sua ascesa?
«È stato eccezionale, direi unico. Anche perché mi sopporta e non è facile (Roberta ride, ndc). Mi ha cambiato tantissimo sotto il profilo umano, tattico, tecnico. Se sono arrivata sin qui lo devo a lui. Abbiamo un rapporto ottimo e dopo tutti questi anni non è un fatto scontato. Ci ha sempre creduto ed ha avuto fiducia in Roberta Vinci, di sicuro molto più di quanta ne abbia avuta io. Abbiamo attraversato momenti brutti, ma insieme alla sua famiglia – Susanna, Giulia, “Pallino” – tutto è stato superato. Non avrò mai parole per ringraziarlo, perché non basterebbero. E prezioso è anche Piero Intile, il mio preparatore fisico, che ha fatto un lavoro pazzesco e mi ha fatto diventare un'atleta. Il prof, che proviene dall'atletica leggera, sogna più di ogni altra cosa una medaglia che spero possa vincere presto».
– Nel 1996 a Messina la ricordiamo giovanissima assieme a Flavia Pennetta in finale di doppio: la vostra favola è nata anche in quel torneo internazionale...
«Ho ben presente quel torneo, che mi piaceva tanto. Ho nostalgia delle manifestazioni under, dove andavi per vincere e giocare bene, ma soprattutto per ritrovare amici, divertirsi in modo spensierato, senza stress e tensione. Oggi questa atmosfera non c’è più. Già da piccoli sono tutti campioni. E se non vincono, a casa non mangiano (altra risata, ndc)».
– E quanto deve Roberta Vinci alla sua meravigliosa famiglia?
«La mia famiglia: il massimo. Se non ce l’hai forte alle spalle, non è facile diventare una stella dello sport. Mi è stata dietro con la giusta moderazione, mi ha permesso di fare le mie scelte, anche sbagliate e mi ha fatto sentire grande nei momenti più difficili. Insomma se sono qui il merito è anche loro: grazie papà, grazie mamma, grazie Ciccio!».
– Prossimo sogno?
«Ho più di un traguardo che vorrei realizzare. Se dovessi dire qual è la prima cosa che mi viene in mente, mi piacerebbe vincere una medaglia alle Olimpiadi. Poi un altro sogno è conquistare uno Slam e magari entrare nella top ten. Ne ho, insomma, talmente tanti che spero che almeno uno mi vada bene».
– Roberta, lo sa che tra qualche anno ci si ricorderà più facilmente di chi ha frantumato il mito Williams, giunta a un passo dall’apoteosi, anziché di chi quell’Us Open l’ha poi vinto? Sarà la gioia che vale una carriera.
«Sicuramente una gioia unica. Già mi ero accorta di tutto questo a New York, quando sono diventata famosissima in un attimo. Tutti mi fermavano per foto e autografi. Pure i paparazzi, ai quali non ero e non sono abituata. Troppo bello, magico. Per Serena mi dispiace ancora. Ma come ho detto quell’11 settembre alla fine del match: «Scusate, ma oggi era il mio giornoooo».
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