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Siria, questa volta
arrivano i cubani

                                                                                                 di Piero Orteca

 «Venghino siori, venghino», dicevano una volta i “buttadentro” dei circhi equestri, che facevano tournée nelle fiere di paese. Erano scaltri pataccari che invitavano i villici a entrare, promettendo mirabilie e mettendosi sotto i piedi buone maniere e congiuntivi. Beh, se non fosse per i 250 mila morti, che pesano sul groppone di una manica di politicanti incapaci e di. “intellettuali” del piffero, quasi quasi verrebbe voglia di dire la stessa cosa della martoriata Siria di oggi, trasformata in un ignobile circo Barnum. Gli ingredienti ci sono quasi tutti: imbroglioni assortiti, avidi statisti “travestiti” da amanti della democrazia, loschi avventurieri pronti a vendersi la madre per una manciata di dollari, esaltati assassini, scappati dalla neurodeliri, che interpretano egregiamente la parte dei “mostri”, e via di questo passo. Solo che laggiù non si scherza, si muore davvero. E il bandolo della matassa è veramente sfuggito di mano a tutti, col rischio, molto attuale, credeteci, di far pagare le pere a gran parte del genere umano. Quando russi e americani, iraniani sciiti e arabi sunniti, israeliani e palestinesi, e chi più ne ha più ne metta, combattono fianco a fianco, l’incidente, cioè la scintilla che basta a fare esplodere la polveriera, è sempre dietro l’angolo. Per darvi un’idea concreta di quello che sta succedendo nell’inferno mediorientale, basterà dire che non passa giorno senza che arrivino sul campo di battaglia nuove truppe. L’altra volta erano i cinesi, con tanto di portaerei e cacciabombardieri, questa volta, udite udite, sono sbarcati addirittura i cubani. Sì, avete capito bene, proprio i nipotini di Fidel Castro. Memori di quanto hanno combinato in giro per l’Africa negli anni della decolonizzazione, al servizio del Cremlino, le truppe dell’Avana sono giunte dalle parti di Damasco (trasportate dai russi) per difendere il padre-padrone Bashar al-Assad, presidente di cotanto mattatoio. Alla faccia di tutto il nuovo corso diplomatico Usa-Cuba, contrassegnato dai rispettosi inchini (sciatica permettendo) di Raùl Castro e dalle flautate melodie dei violini tzigani, il regime dell’ex “Leader Maximo”, l’immarcescibile Fidel, ha pensato bene di assestare uno sganassone sul volto di un inebetito Obama. Che per ora, in politica estera, non ne azzecca una che sia una. Lui predica e i russi fanno i fatti. Questa volta la notizia non viene da Israele, ma dai ricercatori dell’Università di Miami e, per la precisione, dall’Instituto de Estudios Cubanos, dove, evidentemente, avranno i loro affidabili informatori. Commentando l’avvenimento, Josè Azel, specialista di affari castristi, commenta lapidariamente: “Es un cachetazo de Raùl Castro a Barack Obama”. Cioè, pressappoco quello che dicevamo prima. Trattasi di cinque dita stampate sulle guance del presidente americano. Traduzione che nell’articolo apparso sul sito dell’U n iversità della Florida diventa “A slap in the face” ( v i ttima sempre la faccia di Obama). A Miami sono sicuri che lo scherzo di carnevale è merito di compare Putin, che tanto per continuare a ridicolizzare i “gringos americanos” ha chiesto ai cubani (in cambio di qualche piccolo obo lo, è chiaro) di fargli il favore. Nel sottolineare il fatto che il presidente americano “está obsesionado con estas relaciones con el gobierno cubano” (la traduzione non serve), Josè Azel aggiunge che appena un paio di settimane fa, Raùl Castro, parlando all’Onu, aveva solennemente aggiunto che “nessuno doveva permettersi di intervenire in Siria, perchè si deve lasciare al popolo la possibilità di risolvere i propri. problemi”. Questa volta però il “pueblo unido que jamas serà vencido” ha fatto il miracolo, sotto l’effetto inebriante di qualche sacco di “dolaros”. E così, contrordine (ex) compagni, due-tremila soldados della premiata ditta “Fidel and Brothers” si sono catapultati in Siria per aiutare Mosca e Bashar al-Assad. Secondo fonti (rigorosamente anonime) del Pentagono, rilanciate da Fox News, i cubani hanno spedito, in gran parte, carristi capaci di far funzionare i tank russi meglio di quanto non facciano i siriani. Il gruppo sarebbe stato personalmente selezionato dal capo delle forze armate dell’Avana, generale Leopoldo Cintra Frias ed è attualmente impiegato (questa volta le fonti sono israeliane) nella sanguinosa battaglia della Piana di Ghab, nel nord-ovest della Siria. I cubani combattono, assieme alle truppe iraniane e alle milizie di Hezbollah, sotto un comando unificato russo. Il controllo della Valle di Ghab (lunga 63 chilometri e larga 12) consentirebbe agli strateghi di Mosca di creare una zona-cuscinetto per mettere al riparo Latakia da possibili incursioni dell’Isis e degli altri ribelli anti-Assad. Oltre che nelle battaglie sul campo, i russi stanno attaccando a 360 gradi anche nel delicato settore delle relazioni internazionali. Sono in corso fitti colloqui con Netanyahu per convincere gli israeliani a mollare i “ribelli moderati” e, in un certo senso, a smetterla di tenere bordone agli americani. Putin ha alzato, e di molto, la posta nel piatto. Si è impegnato, addirittura, a garantire la sicurezza della Galilea, impedendo che Hezbollah, siriani governativi e iraniani possano portare minacce di qualsiasi tipo contro lo Stato ebraico. I “rumors” in arrivo da Gerusalemme parlano di un Netanyahu esitante, ma tentato di accettare. Più in dettaglio il piano di Putin di “divide” (i ribelli estremisti dai moderati) “et impera” (restituendo lo scettro del comando ad Assad) è stato discusso in due giorni di colloqui a Tel Aviv tra il vice capo di Stato maggiore russo, generale Nikolay Bogdanovsky, e dalla sua controparte israeliana, il generale Yair Golan. I russi avrebbero chiesto al governo di Gerusalemme di ritirare il loro appoggio (occasionale) in particolare al gruppo di ribelli coalizzato sotto la sigla di Jaish-al Fatah. Bisogna ricordare, a questo punto, che gli israeliani giudicano la politica mediorientale di Obama un fiasco e si fidano sempre meno di un uomo ritenuto capace di cambiare politica estera tre volte al giorno. Putin, insomma, forse è meno simpatico e meno “democratico” di Obama, ma viene ritenuto più affidabile. Non sarà di sicuro un rovesciamento delle alleanze quello provocato dall’e nnesima “Primavera araba” finita a piatti in faccia. Ma poco ci manca.

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