E’ l’undici settembre dell’Europa. Il cuore di Parigi colpito a ripetizione dal terrorismo islamico, gli attacchi militarmente coordinati nel centro della capitale francese segnano una escalation furiosa di una guerra dichiarata all’occidente che, in una notte parigina di novembre, ha forse passato un punto di non ritorno. Come l’attacco agli Usa di 14 anni fa, la comunità internazionale deve fronteggiare qualcosa a cui non era preparata nonostante i tanti segnali che annunciavano l’arrivo di una tempesta perfetta del terrorismo. Morti, ostaggi uccisi sangue freddo, kamikaze, bombe allo Stade de France e in un teatro: non ci sono precedenti nella Vecchia Europa. Nulla a che vedere con i precedenti attacchi a Parigi, alla metropolitana di Londra o alle stazioni di Madrid. C'è qualcosa di tragicamente plastico e drammaticamente evidente nella giornata che si apre con l’attacco, e forse l'uccisione, a Jihadi John, il simbolo dell’orrore e della follia dell’Isis, e che si conclude con lo stesso orrore e e follia che si riproduce all’infinito nella città simbolo della civiltà europea, «I valori di liberté, egalité e fraternité non sono solo condivisi dal popolo francese, ma anche da noi», ha detto_Barack Obama, reagendo in tempo reale agli attacchi di Parigi e cogliendo, anche prima di molti leader europei, la curva tragica della storia che l’attacco alla capitale francese rappresenta. Mentre ancora non sono chiari tutti i dettagli di quanto accaduto, il numero dei morti e degli attentatori, mentre la contabilità dell’orrore deve ancora essere chiarita, ci sono però alcuni elementi evidenti sui quali riflettere. Con tempestività e senza ulteriori rinvii. Mentre uccidevano uno ad uno gli ostaggi nella sala concerti di Parigi i terroristi gridavano «Allah è grande», secondo il racconto di un testimone. E i racconti sono quelli di una furia cieca ed omicida contro poveri innocenti inermi. Nella terribile notte parigina che segnerà tragicamente la storia dell’Europa, la stessa povera Europa dovrà cominciare un nuovo percorso che la porti fuori dai tanti equivoci degli ultimi anni. E’ l’Europa che si è voltata dall’altra parte mentre il mondo cambiava, mentre le guerre trasformavano le primavere arabe in gironi danteschi e mentre in un sedicente califfato islamico nascevano e prosperavano i germogli dell’odio e del terrorismo. Le parole di solidarietà, fratellanza, unione, nuova collaborazione, politiche comuni di sicurezza seguite agli ultimi attentati a Charlie Hebdo sono rimaste purtroppo quelle che erano: parole. La lotta al terrorismo è andata avanti a livello nazionale e senza una vera strategia unitaria europea. Nella notte del dolore e del sangue, della Parigi devastata e ferita, l’Europa deve trovare dentro se stessa la forza, il coraggio, la determinazione e la volontà per ripartire. Questa volta senza rinvii, senza egoismi, senza titubanze. Il segnale arrivato è molto chiaro. L’Europa dovrà adesso provare ad essere quella che dice di essere: un’Unione. E’ l’unica strada possibile di fronte ad un nemico impalpabile e spietato, senza scrupoli e senza pietà'. L’undici settembre europeo è arrivato. Se ne può uscire soltanto tutti insieme.