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Il ruolo della Conferenza di Vienna

Il ruolo della Conferenza di Vienna

 Mentre l’Isis sviluppa le sue strategie geopolitiche lontano dal Medio Oriente, arrivando a colpire il cuore dell’Europa, sul campo di battaglia, dalla Siria all’Irak, l’arcipelago jihadista continua a impegnare tenacemente le coalizioni avversarie, spesso rivolte più a pestarsi i calli a vicenda che a fare fronte comune contro il nemico pubblico numero uno: il “Califfo”. I russi, ultimi arrivati nella palude piena di sabbie mobili che da Baghdad porta alle sponde del Mediterraneo, hanno cercato di capirci qualcosa in più, incaricando i loro specialisti di elaborare un “report”. Hanno così scoperto che lo Stato Islamico è riuscito a raccogliere sotto le sue bandiere la bellezza di 80mila assatanati guerriglieri, che ormai controllano la metà della Siria e circa il 40% dell’Irak. In quest’ultimo Paese i miliziani del “Califfo” sono in 30 mila. Giusto lo stesso numero di “stranieri” che sono riusciti a fare arruolare nelle loro unità. Molti aspiranti tagliagole arrivano dall’Occidente, mentre almeno in 7 mila (cifra per difetto) si sono presentati dalle regioni dell’ex Unione Sovietica. Molti di loro sarebbero ceceni. Capita l’antifona (cioè la forza del nemico) le truppe del Cremlino si sono progressivamente rafforzate, lanciando in battaglia interi squadroni di elicotteri. Tanto che l’intervento di Mosca comincia ad assomigliare, molto sinistramente, a quello in Afghanistan, dove i russi, arrivati in pompa magna, furono costretti dopo una guerra sanguinosissima a scappare di notte. Ora la storia di un impegno cominciato come “aiuto fraterno” si ripete e sta pigliando i connotati di una vera e propria invasione. Da Latakia, gli elicotteri corazzati russi si spostano verso Homs, nel cuore del fronte più caldo, col rischio di essere abbattuti. E, nonostante la massiccia presenza di Mosca, va segnalato che qualche giorno fa le milizie dell’Isis sono riuscite a tagliare fuori da Homs numerose unità dei governativi, di Hezbollah e delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, arrivando a controllare l’autostrada M5, che porta a Damasco. I soldati del Califfato e i qaidisti di al-Nusra sono all’attacco anche a nord, nella zona di Idlib, tanto che gli elicotteri di Mosca si sono dovuti alzare in volo senza sosta per compiere missioni tattiche di appoggio al suolo. Ormai la pressione sui russi sta diventando incalzante, mentre governativi, Hezbollah e iraniani tendono a defilarsi. Fonti militari occidentali riferiscono che, molto presto, una nuova ondata di elicotteri russi da combattimento arriverà dalla Crimea. Altri spifferi parlano di un consistente numero di volontari slavi in arrivo dall’Ucraina Orientale. Si tratta di separatisti che fino a qualche settimana fa combattevano contro il Governo di Kiev e che rappresenterebbero, sia pure non ufficialmente, le prime unità di terra schierate da Mosca nel conflitto. Nel frattempo, va segnalato che alla Conferenza di Vienna sulla Siria è stata raggiunta un’intesa di massima; l’appuntamento c’entra (e molto) nelle dinamiche che hanno portato agli attentati di Parigi. Invece, sul fronte curdo, la posizione dell’Isis si è fatta all’improvviso molto delicata. Circa 7.500 combattenti Peshmerga, spalleggiati dalla milizia Yazida, sarebbero riusciti a conquistare la città di Sinjar, al confine con l’Irak, strappandola al Califfato. La valenza strategica dell’operazione è fortissima. Se infatti i curdi riusciranno a tenere il controllo della Strada 47, che da Tel Afar (Irak del nord)

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