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La schizofrenia
dell’Occidente

La schizofreniadell’Occidente

 Eccoci qui. Alla fine vanno fatti i conti con quel che si è. Sguardo fisso sul nostro ombelico, compiaciuti di noi stessi, farciti dal lunedì alla domenica di citazioni intelligenti, di tolleranza, di superiore comprensione, di saggezza. Ma, soprattutto, campioni di schizofrenia. Questo siamo, soprattutto noi italiani tra gli europei: in larga parte falsamente tolleranti, solidali a parole, nel profondo capaci di “cattiveria”, d’orgoglio e intenti di rivalsa (ma soltanto quando le parole sono estemporanee e in libertà: passata la rabbia, ecco che torniamo gandhiani). Abbiamo in odio, ed è giusto così, qualsiasi nuance machista, razzista, e – siccome siamo buoni, e civilizzati, ed eredi di Montaigne, e innamorati di Mantegna – ci rassicuriamo ogni mattina a riscoprirci inclini ad abbracciare le diversità, i deboli, le minoranze. Al tempo stesso sappiamo cosa in certe circostanze dovremmo comunque fare, però “non possiamo”. Troppo colti, troppo rinascimentali, troppo democratici. Chi scrive ha in odio le guerre, i fascismi, i padanismi, ama ogni altro da sé. Detesto i bombardamenti indiscriminati e, di norma, anche quelli… discriminati, non ho incondizionata simpatia per l’America, troppo spesso superficiale e supponente, né per l’Unione Europea quando ha l’aria (sempre) d’essere un circo con trapezisti poco dotati, talmente poco da essere destinati a un’eclatante caduta e al fallimento. E non ammiro gli eccessi muscolari e crassi di Putin. Eccoci qui: e non è “soltanto” l’11 settembre, come noi stessi abbiamo rimarcato per lutto, dell’Europa. È forse la fine del nostro mondo così com’è stato finora: il terrorismo dell’Isis e di al Qaida, da leggere guardando all’opaco cruento braccio di ferro intorno alla Siria, non ci lascia molti margini di scelta. È il momento di smetterla con demagogia e buonismo: non si tratta – come insiste “la destra”– di tirar fuori gli attributi, basta ascoltare l’istinto di sopravvivenza. C’è un momento in cui ogni sterile retorica va messa da parte, il politicamente corretto dimenticato; vanno fatte azioni, supportate dalla Politica, e – se è il caso–  “rivoluzioni”. Stiamo, in queste ore, sentendo i consueti variegati slogan: l’Europa deve restare unita e opporsi al terrorismo islamista – verità ovviamente da sottoscrivere ma troppo… generica –, urge un giro di vite alle frontiere, non si deve enfatizzare – a fronte d’invasate ma sparute schiere di fondamentalisti – lo scontro tra (in)civiltà. Chiacchiere. Conosciamo gli interessi occidentali in Medio Oriente, francesi in nord Africa, le balle e i ridicoli ricami che furono utilizzati per spianare la strada alla detronizzazione di Saddam, conosciamo gli sponsor delle primavere arabe e le coperture date a Gheddafi finché era comodo tenerlo lì. Conosciamo gli errori delle amministrazioni Bushjr e Obama, così come abbiamo ricostruito le porcate alla base della crisi economico-finanziaria che ha messo per terra l’Occidente. Conosciamo pure i mali che minano la credibilità della Chiesa cattolica – e abbiamo provato a interpretare le dimissioni di Ratzinger e l’elezione di Bergoglio, carta giocata nel tentativo di riprendere contatto con la società reale –. Rispettiamo l’Islam e i musulmani, ogni religione, ma anche le “perplessità” inconciliabili con una qualsivoglia idea di religione. E allora? Dobbiamo provare comunque a guardarci allo specchio. Siamo, noi europei, sostanzialmente mollaccioni. Vulnerabili mollaccioni. Consapevoli però di quel che – contro i jihadisti, ormai che è guerra –dovremmo fare e sacrificare (anzitutto di noi stessi). Ho avversione per ogni forma di violenza. Ma, pur riconoscendo gli enormi torti dell’Occidente, ne amo troppo l’identità: una categoria dello Spirito. M’appare patetico, il nostro mondo, quando troppo narcotizzato dal consumismo, ma amo l’Occidente “sacro” di Dante e “profano” della sala concerti Bataclan. Nessuno (penso a un lontano maggio parigino più illuminista che romantico) può, in questo frangente, limitarsi a un vago passivo cordoglio. Perché ai nostri figli va data almeno la possibilità di provare a rifondarlo, l’Occidente. Vive la France!

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