Strana razza, gli italiani. O vivano in Brianza o a sud di Roma hanno – mediamente – una strana idea dell’orgoglio, delle patrie, dell’identità, del decoro. Abituati – alcuni – a fare come se gli altri non esistessero, ad anteporre i propri egoismi all’interesse collettivo, improvvisamente riscoprono il senso dell’appartenenza se qualcuno li apostrofa malamente, osa muovere critiche, restituisce loro – poco indulgente come soltanto gli specchi riescono a essere – un’immagine sgradevole e difficile da digerire.
Certo, il “padano” che invoca protezionismo e secessione, che ha in odio ogni diversità, che talvolta è gretto oltre ogni ammissibile limite, tanto ottuso da essere intollerabile, suscita riprovazione in tutte le persone sensate – specie se frequenta grattacieli che grondano tangenti –; allo stesso modo il meridionale che ha in odio ogni regola, che talvolta è indisciplinato oltre ogni ammissibile limite, tanto “anarchico” da essere incompatibile con ogni pur sgualcita forma di convivenza civile, suscita sdegno in tutte le persone che credono nel rispetto per gli altri come condizione primaria e non negoziabile d’ogni civiltà degna di questo nome. Non può non suscitare sdegno, “questo meridionale”, specie se si è rassegnato a vivere “nei dintorni” di masserie che grondano... mafiosi.
Da siciliano, da meridionale, la frase di Roberto Vecchioni («Sicilia isola di merda») mi ha ovviamente fortemente irritato e offeso: frase stupida come tutti gli exploit quando sono generici, superficiali, buttati lì a effetto. E l’impeto, iniziale, era stato quello di contrattaccare pesantemente. Ma poi, al di là del brutto scivolone di Vecchioni (si è scusato, ha detto che la sua voleva essere «una provocazione d’amore»), ha prevalso il vero denominatore comune che lega la maggior parte dei meridionali: e la nostra risorsa principale è lo sforzo di comprendere, d’accogliere, talvolta pure ciò che non ci piace. È la ricchezza di spirito che spesso permette al Sud – ieri il Censis ha parlato di «un’Italia in letargo in cui però cresce l’inventiva» – di indicare al Paese strade che vanno oltre le miopie dei particolarismi.
Quindi, almeno noi, accettiamo le scuse di Vecchioni. La vera merda è il modo superficiale in cui sempre più italiani s’occupano delle cose. L’obbligo dei cantastorie è farsi capire e regalare distillati di verità. Il rischio, altrimenti, è di trasformarsi in... contastorie. Altro italico male, a tutte le latitudini. Pure la nostra, ça va sans dire, è una provocazione d’amore.