Sabato 23 Novembre 2024

La cultura vince sulla paura

Otto minuti d'applausi

MILANO - Dopo 150 anni di oblio, il pubblico della Scala ha ritrovato la sua “Giovanna D’Arco”. Otto minuti continui di applausi e grida di “Viva Verdi” hanno infatti decretato il pieno successo dell’opera di Giuseppe Verdi che, con Riccardo Chailly sul podio e la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier, ha inaugurato la stagione scaligera nella tradizionale festa di Sant’Ambrogio, quest’anno segnata da particolari misure di sicurezza per le minacce del terrorismo.
Ma la massiccia presenza delle forze dell’ordine, le transenne – del resto mai mancate nelle serate inaugurali: ieri la protesta è stata quella del centro sociale il Cantiere che ha improvvisato una sorta di “red carpet” simulando pacificamente una sfilata di moda: manifestavano per le iniziative popolari organizzate dal centro – e i metal detector non hanno impensierito più di tanto un pubblico di appassionati, vip, artisti e personaggi politici (con mise quasi tutte molto sobrie, eccetto il verde squillante di Daniela Santanchè); col presidente del Consiglio Renzi che lasciando il teatro ha esplicitamente lodato lo spettacolo, e l’ambasciatrice di Francia, Christine Colonna, i ministri Franceschini e Delrio, il sindaco di Milano Pisapia, il presidente della Regione Maroni.
La sorpresa principale quest’anno è stato proprio l’arrivo di Renzi. «Non dobbiamo sottovalutare niente, ma non ci faremo rinchiudere in casa – ha detto il premier – . Sarebbe la risposta più sbagliata a ciò che sta avvenendo». E comunque «la Scala è la Scala e la Prima della Scala ha grande rilievo: siamo orgogliosi di essere qui». Anzi «era irrinunciabile esserci». D’accordo il presidente della Regione Roberto Maroni, il ministro Graziano Delrio («Non ci chiudiamo e combattiamo la paura con la cultura»).
La qualità dello spettacolo ha fatto il resto, aiutando a dimenticare ogni minaccia e calamitando l’attenzione sull’opera di Verdi e sull’interpretazione che ne hanno dato gli artisti, tutti applauditi a lungo e intensamente. A cominciare dall’Orchestra, con ovazioni al Maestro Riccardo Chailly, che ha aperto la serata dirigendo l’Inno di Mameli, e da un grandissimo coro scaligero diretto da Bruno Casoni. Applausi alle voci, soprattutto ad Anna Netrebko (Giovanna), confermatasi grande interprete verdiana e a Francesco Meli (Carlo VII). Ma anche per Devid Cecconi, sconosciuto baritono fiorentino 44/enne che nel ruolo di Giacomo ha sostituito con merito Carlos Alvarez, costretto al forfait da una bronchite. Apprezzata anche la regia di Leiser e Caurier, che hanno trasposto la vicenda della pulzella d’Orleans raccontata dal libretto di Temistocle Solera nella psiche della protagonista, una giovane di metà Ottocento, che vive nella sua stanza da letto il conflitto tra la morale borghese e religiosa impostale dal padre e il desiderio di vivere appieno la sua sessualità. Nella sua mente essa diventa Giovanna D’Arco nella Guerra dei Cent’Anni. Si innamora di Carlo VII e combatte per la libertà della Francia, ma il senso di colpa a tratti prevale: vede gli angeli e poi i demoni. Grida «sono maledetta!». Quando al culmine della felicità è all’incoronazione di Carlo nella cattedrale di Reims, il padre Giacomo la accusa davanti al popolo di essere in peccato mortale («Sei tu pura e vergine?»). L’eroina non muore sul rogo per mano degli inglesi come da tradizione storica, ma, come vuole il libretto, è ferita a morte in battaglia. Anche se il rogo, al pari delle sue allucinazioni, è presente sul palcoscenico.
La scena (di Christian Fenouillat) è fissa e rappresenta la camera da letto ottocentesca della protagonista, ma continuamente spariscono pareti, entrano eserciti in armi, lunghe lance, angeli, diavoli rossi (con coreografie di Leah Hausman), si erge grandiosa sul fondo la cattedrale di Reims che poi sprofonda nel fuoco, mentre le videoproiezioni (di Etienne Guiol) mostrano battaglie cruente. La pazzia di Giovanna è sempre raccontata con un velo di trasfigurazione favolistica.
Un’opera di difficile esecuzione anche per le voci, con concertati, terzetti, cabalette ripetute due volte e con tessitura costantemente sul registro medio-acuto. Ma anche un’opera importante nell’attività di Verdi: «Vi sono anticipazioni del Macbeth – ha detto Chailly – di Rigoletto, Traviata, Aida, dell’autodafé del Don Carlo, perfino le note del Dies Irae del Requiem, composto nel 1874. Straordinario che già a 32 anni Verdi avesse in testa quella musica». Il pubblico della Scala, verdiano per eccellenza, vi ha riconosciuto l’anima del proprio beniamino e al calar del sipario ha applaudito convinto.

leggi l'articolo completo