Il Natale, nella cultura di tradizione orale di matrice agro-pastorale, costituiva una scadenza festiva di straordinaria valenza, connotata da forme esclusive di devozione e culto. La rappresentazione della Natività di Gesù Cristo, affidata ad un ampio repertorio di modelli cerimoniali, gesti rituali e forme sonoro-vocali, offriva infatti un’occasione unica e irrinunciabile per riaffermare, sul piano individuale e collettivo, valori fondanti e l’appartenenza ad un microcosmo circoscritto da un orizzonte che da storico si faceva mitico. E sullo sfondo di questo complesso apparato di festa cristiana, che muta radicalmente il corso della Storia e la percezione del Tempo, è possibile scorgere quell’armonia perduta tra cielo e terra. Ai versi cantati e alla musica strumentale, che tingevano di forti emozioni sonore il paesaggio del Natale, si riconosceva, in particolare, un ruolo narrativo primario, che traeva ispirazione e legittimazione dalla pratica della Novena. Dai luoghi di culto deputati alle scene presepiali, allestite in ogni casa, si irradiavano forme strumentali e vocali di antica memoria, ai quali si affidava il compito rituale di sacralizzare gli spazi vissuti e abitati nel segno del culto per il Bambino Gesù, espressione tangibile della vita che rinasce. E nell’area peloritana e urbana messinese a dominare musicalmente la scena della Natività era la ciaramedda, ovvero la zampogna, definita organologicamente “a paro”, la cui novena (sonata pastorale), sempre più rara da ascoltare, ci rimanda alla nostalgia del passato e ad una memoria collettiva indelebile. Dalle remote origini, le ance pastorali, ovvero le zampogne diffuse in Italia nell’area centro-meridionale variamente connotate, marcavano l’hic et nunc del Natale, restituendo il tempo della festa e della devozione, abolendo temporaneamente quello ordinario ricolmo di profanità. L’arcaico suono della zampogna ci rinvia poi all’antica offerta musicale dei pastori- suonatori, attestata da un’ampia iconografia, attestata a partire dai primi decenni del 1500, anche in Sicilia. Strumento dalla natura ambigua, sacra e profana ad un tempo, la zampogna porta impressa la memoria dell’ideologia arcaica della festa, quella che si nutre dell’osten - tazione di sovrabbondanza mentale, fisica, alimentare, dunque dell’orgia, necessaria all’economia del sacro e alla rigenerazione ciclica della vita. E ancora oggi, resistendo alla tentazione dell'omologazione culturale, pochi eroici ciaramiddari, orgogliosi eredi di una secolare tradizione, certamente da salvaguardare come bene culturale primario, giungono dai villaggi dei Peloritani in città per riaffermare, sfidando il soffocante rumore di fondo della modernità, i valori di una tradizione secolare.
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