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Libia, ecco tutti i piani di guerra

Libia, ecco tutti i piani di guerra

Obama prepara il terzo fronte contro lo Stato Islamico. E che fronte! Dopo chilometriche riunioni con il National Security Council, si è deciso di sviluppare la tattica del “c o n t r o - a c c e rchiamento”. Come i ladri di Pisa, intenti a litigare di giorno (tutta una commedia) e a rubare di notte (gli interessi comuni superano sempre i blablabla), Casa Bianca e Cremlino si sono spartiti i compiti. In Siria, Putin sta mettendo alla frusta le sue forze armate per scavare il terreno sotto i piedi all’Isis. Mentre in Irak, le truppe governative, guidate dal sunnita Hashid al-Ashari, addestrate dagli americani, hanno sbaragliato le milizie del “C a l i ffo” a Ramadi. Resta il terzo “molare”, cariato dalle varie “Primavere arabe”: la Libia, ritenuta (a ragione) una specie di Vietnam moltiplicato per dieci. Una palude incontrollabile, strapiena di sabbie mobili, serpenti velenosi e indigeni assatanati. Insomma, la madre di tutte le fesserie combinate a ripetizione dall’Occidente. Ancora ammaccato per gli schiaffoni patiti in quelle turbinose contrade (gli hanno anche ammazzato l’a m b a s c i a t ore), Obama sta pensando di prendere la patata bollente con le sue mani, magari pelandola con un paio di guanti d’amianto. Ed ecco, pronto alla bisogna, l’e n n esimo piano che contraddice, per l’ennesima volta, quanto solennemente promesso in precedenza. Dunque, contrordine compagni, il glorioso Settimo cavalleria di “Capelli gialli” (Custer), torna a cercare gloria (e rogne) nelle assolate pietraie del Nord Africa. E, a proposito di chiome, la malcelata intenzione presidenziale pare che abbia fatto schizzare i capelli per aria, come tanti chiodi “da dieci”, a un buon manipolo di generali Usa. Che, evidentemente, più che il grande Cavallo Pazzo di Little Big Horn, temono di trovarsi davanti tanti nemici, pazzi come cavalli (concetto inverso, ma che rende l’idea) con cui dovere fare i conti. Gli americani cercano “clientes” pronti a sostenerli in questa nuova avventura di cappa e spada e i “rumors” che arrivano dal Pentagono e dal Centcom (il Comando centrale operativo) di Tampa, in Florida, già fanno fare mille pensieri. Intervenire in Libia significa scaraventarsi, con tutte le scarpe, in un tritacarne. Chi è pronto a fare da “scatoletta”? La nostra sensazione è che agli italiani con la Libia giri proprio male. Le solite fonti “bene informate” (quelle israeliane, e chi se no?) parlano di un appello rivolto da Obama a francesi, inglesi e (ti pareva!) anche agli italiani, chiamati a pagare le uova assieme a quelli che, invece, la frittata l’hanno fatta. Da Gerusalemme fanno sapere che il grazioso invito è stato rivolto anche all’Egitto e alla Spagna. I piani, scoperchiati dall’Intelligence israeliana, parlano di un attacco condotto contro le roccaforti dell’Isis, di al-Qaida, di Ansar al-Sharia e di altre organizzazioni islamiche radicali. Saranno utilizzati missili in partenza da navi alleate (tra cui italiane) e unità di commandos e incursori (americani e franco-inglesi). Secondo i servizi segreti di Gerusalemme l’operazione viene definita già come “lo sbarco occidentale più importante mai avvenuto fin dai tempi della guerra di Corea”. Un gruppo d’assalto sarà riunito al largo del Golfo di Sidra, per attaccare Sirte, città di 50 mila abitanti sede del comando centrale del “Califfato” in Libia. Questo gruppo si separerà in due tronconi. Uno si dirigerà a sud per occupare Tripoli e i successivi campi petroliferi (distanti 370 chilometri). Durante il blitz sarà preso anche il controllo di tre centri strategici di fondamentale importanza: Misurata, Zliten e Khoms. La seconda task force si dirigerà a nord, verso Bengasi e i campi di Ras Lanuf, 200 chilometri a est di Sirte. L’altra ondata di sbarco prenderà di mira Derna, porto abitato da 150 mila libici nelle mani di Ansar al-Sharia, il più potente alleato locale dell’Isis. Questa volta, il ritorno delle truppe di terra americane punta a mettere le mani sui campi petroliferi e sui gasdotti, ad annichilire la base principale dell’Isis, la testa di ponte verso l’Europa e, last but not least, a evitare che il contagio dello Stato Islamico si trasmetta a Tunisia, Algeria e Marocco. A lume di naso, diremmo che sembra quest’u ltima la ragione più pressante che sta spingendo Obama, un eterno “tentenna” a intervenire rimangiandosi tutte le promesse fatte in precedenza. Ormai i suoi adviser l’hanno convinto che è proprio la Libia l’errore più macroscopico fatto negli ultimi anni dalla politica estera americana. Un errore da cui, a cascata, ne sono scaturiti altri cento. Il presidente si è convinto di questo e ha già dichiarato che stringerà forte nel suo pugno il bastone di “maresciallo”. Nel senso che comanderà lui tutte le operazioni senza lasciarsi trascinare in tragiche comparsate, come quelle messe in moto, in passato, da Cameron (una mezza figura) e da Sarkozy (a essere buoni, una “scartina”). Il piano d’intervento militare, dicono gli analisti, dev’e s s ere già a buon punto, visto che gli israeliani (che in qualche modo ne faranno parte) ne conoscono pure le virgole. D’altro canto, a confermare la prossima apertura di un fronte di guerra in Libia, ci sono anche gli ultimi avvenimenti, tra cui l’a ccordo politico raggiunto sotto l’ombrello delle Nazioni Unite. “Core” dell’intesa è la formazione di un governo di unità nazionale che metterà assieme gli elementi dei due parlamenti-rivali che attualmente si confrontano: quello di Tripoli e quello che si trova a Tobruk. Tra le righe traspaiono le pressioni fatte dall.Europa per l’intervento. Una volta capita l’i m p o r t a nza della Libyan Trail (la pista libica) come rotta principale dei giganteschi flussi migratori dall’Africa verso il Vecchio Continente, in molti hanno deciso, anche brutalmente, di chiudere i rubinetti. Si spiega anche in questo modo, secondo la britannica BBC, la decisione del governo italiano di organizzare un corpo di spedizione di ben 6 mila uomini in grado di combattere l’Isis in Libia. Tutti gli esperti, comunque, concordano sul fatto che il piano per l’invasione della Libia è un azzardo, Con ben 1.700 diversi gruppi armati che si massacrano l’uno con l’altro, sarà impossibile mettersi d’a c c o rdo con qualcuno o, al contrario, dichiarare guerra a tutti. E allora? Beh, non per essere sempre e comunque pessimisti. Ma la nostra impressione è che quella libica sarà ancora una lunga storia.

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