A Obama i conti, in politica estera, non tornano più da un pezzo. Finito il mondo “bipolare”, con la fragorosa caduta dell’Urss in una nuvola di calcinacci e fallita l’esperienza degli americani “poliziotti del pianeta”, oggi si naviga a vista. Richard Haas, del Council on Foreign Relations, ha definito quello attuale “un mondo senza polarità”. Nel senso che chi pensa di risolvere i problemi degli altri, imponendo la sua legge, finisce per impastoiarsi in un roveto, scorticandosi tutto. E già successo a Bush-figlio e a Capitan Fracassa-Sarkozy (che aveva scambiato l’Eliseo per Versailles ai tempi di Luigi XIV), solo per citare i casi più eclatanti. E ora sta succedendo a Barack Obama che, per onestà, i guai non se li è cercati tutti lui: molti li ha trovati, scegliendo poi, però, la pezza sbagliata per tappare il buco. La notizia di oggi, che non entusiasmerà di certo i compatrioti di Mr. President, è che gli americani torneranno in forze da dove se ne erano andati alla chetichella. Cioè dall’Irak. Erano arrivati la prima volta nel ’91 con Bush-padre, dopo l’invasione del Kuwait. Il vecchio George non era fesso, ma solo un po’ carogna (era stato direttore della Cia). E comunque alzi la mano chi lo considera uno sprovveduto, come poi si rivelerà il figlio. Infatti, insaccati gli irakeni con qualche milione di bombe e con un’offensiva degna dello sbarco in Normandia, vinta la guerra e riportati gli emiri a Kuwait City a papparsi i dollari fatti col petrolio, Bush-padre decise di lasciare Saddam Hussein al suo posto. Il dittatore era monco, pesto e sanguinante, ma restava la migliore garanzia per l’arabismo laico (quello del Partito Baath) di poter controllare gli scanna-pecore fondamentalisti. La stessa funzione che era stata assegnata a Gheddafi, Assad e Mubarak in Libia, Siria ed Egitto. Tra l’altro, Hussein serviva agli americani anche come “cuscinetto” contro le foie espansionistiche degli iraniani. Purtroppo, però, ai “falchi” raccolti attorno all’American New Century Project di Dick Cheney il disegno del padre non piaceva. Costoro scelsero il figlio-bandiera per giocarsi i loro piani, tutti rutilanti di patriottismo, barili di petrolio, armi, munizioni, pezzi di ricambio e dollari. Tanti dollari. Prima o dopo la vera storia del secondo intervento in Irak si farà coi dovuti crismi e allora verrà fuori la “grande menzogna” (ma già lo sanno pure le pietre), quella delle WMD, le armi di distruzione di massa. Che sarebbero state in possesso di Saddam, di cui molti (tra imbroglioni e mezze calzette) assicuravano l’esistenza. Ma che nessuno aveva mai visto. E che nessuno vedrà mai, per il semplice fatto che non esistevano. Bene. Cioè, male. Perché dal 2003 è cambiata la geografia del Medio Oriente e gli Usa hanno spalancato le porte prima ad al Qaida e poi all’Isis, coi risultati che stanno sotto gli occhi di tutti. Quando, poi, negli anni passati, si sono resi conto che l’affare era in perdita e che si erano impantanati in una specie di Vietnam fatto di sabbia, sassi, scorpioni e tante scoppole, gli americani si sono calati la maschera e, al diavolo il verbo democratico, hanno cominciato a coniugare un altro verbo: quello “scappare”. Prima al futuro, poi all’indicativo e, da ultimo, sono passati, fulmineamente, dal congiuntivo esortativo all’imperativo. Vite umane e soldi guadagnati, certo. Ma anche un polverone di quelli che non ti dico, lasciato in eredità a coloro che gli Stati Uniti avrebbero dovuto salvare, educare e civilizzare. E che ora, invece, si ritrovano inebetiti dalle bombe nei trivi (è il caso di dirlo) e nei quadrivi irakeni, veri figli di “NN” ammassati nei brefotrofi della storia. Adesso tutti sono chiamati a combattere la guerra mondiale tra sciiti e sunniti, tra moderati ed estremisti, tra governativi e ribelli, tra tribù e tribù, o tra amici, parenti e vicini di casa. Abbiamo reso l’idea? Oggi in Irak si spara contro tutto ciò che si muove e, senza esagerare, in Siria è pure peggio, perché tirano anche contro chi è fermo. Se questi sono i risultati, come definireste i raffinati facitori di cotanta politica estera?
Alla fine, nemmeno Obama ha più resistito allo scempio e ha deciso: si torna. Durante una visita alla 101. Divisione Aviotrasportata a Fortb Campbell (Kentucky) il capo del Pentagono, Ashton Carter ha annunciato che quasi 2000 effettivi della prestigiosa unità saranno dislocati “per almeno 9 mesi” in Irak e in Kuwait. L’intervento, ha detto il Ministro, è finalizzato alla definitiva sconfitta dello Stato islamico e alla conquista delle sue due roccaforti di Mosul (Irak) e Raqqa (Siria). Sebbene Carter abbia fatto riferimento a un nucleo di istruttori militari per i governativi di Baghdad e i Peshmerga curdi, è chiaro a tutti che gli effettivi della 101. saranno impegnati in combattimento. E’ quanto rivelano analisti occidentali citando fonti di Intelligence. Dal canto loro, gli israeliani manifestano tutto il loro scetticismo, dichiarando che le intenzioni di Obama sono destinate a rimanere tali. Per ottenere qualche risultato, secondo gli specialisti di Gerusalemme, occorrerebbero molti più uomini e il decisivo sostegno del primo ministro irakeno al-Abadi e quello del curdo Masoud Barzani. Che finora, però, hanno fatto finta di niente. Obama, nel frattempo, si accontenta del bombardamento mirato che, centrando le casse del “Califfo”, a Mosul, ha mandato in fumo milioni di dollari che non potranno più essere utilizzati per pagare i combattenti. Il presidente Usa, però, cerca anche l’intesa con Putin. Un paio di giorni fa si sono parlati lungamente al telefono. Per ora, quello che trapela sono le discussioni (e gli eventuali disaccordi) sulla “no fly zone” che i russi starebbero approntando nel nord della Siria.
Il Cremlino avrebbe anche comunicato di avere intenzione di potenziare le basi navali di Tartus e Latakia (Siria), installando missili S-300 e S-400 e un sofisticato sistema di monitoraggio radar, che arriverà fino alla frontiera turca. In arrivo anche reparti di “Spetsnaz”, temibili forze speciali russe, addestratissime, che saranno posizionate a ridosso della linea di confine con Ankara. E non finisce qui. Putin ha fatto anche capire che i missili Kaliber e i razzi Kh-101, in caso di necessità, potrebbero essere armati con testate nucleari tattiche. Insomma, morale della favola: coi pasticci e le maccheronate che hanno combinato in tutto il Medio Oriente, Sarkozy e Obama hanno finito col rimettere in gioco Putin e la Russia alla grande, come ai tempi onusti di fama (e di fame) dell’Armata Rossa.
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